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Reati fallimentari e restituzione ai soci dei versamenti: distinzione tra bancarotta per distrazione e bancarotta preferenziale

  • Immagine del redattore: Luca Baj
    Luca Baj
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min

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La disciplina dei reati fallimentari continua a costituire un terreno di particolare complessità interpretativa, soprattutto nei casi in cui si tratta di qualificare operazioni compiute dagli organi societari poco prima o durante lo stato di insolvenza. Una delle questioni più dibattute riguarda la restituzione ai soci delle somme da essi versate a favore della società, distinguendo tra contributi effettuati in conto capitale e finanziamenti concessi a titolo di mutuo. La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I penale, del 25 giugno 2025 n. 23813, presieduta da Siani e con relatore Cappuccio, ha fatto chiarezza sul punto, ribadendo principi consolidati e offrendo ulteriori precisazioni operative.


Il quadro normativo di riferimento

La normativa di base si trova nel Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, in particolare negli articoli 216 e 223. L’articolo 216, comma 1, numero 1, punisce la condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione, consistente nell’appropriazione o distrazione di beni dell’impresa a danno dei creditori. Lo stesso articolo, al comma 3, disciplina la bancarotta preferenziale, che si configura quando l’imprenditore, in stato di insolvenza, favorisce un creditore a danno degli altri. L’articolo 223 estende poi tali ipotesi agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite, stabilendo la responsabilità penale di tali soggetti per i reati previsti dall’articolo 216.

Il problema sorge nel momento in cui la società effettua prelievi di somme destinate ai soci, in particolare sotto forma di restituzione di versamenti effettuati in passato. È necessario comprendere se tali operazioni debbano essere qualificate come distrazioni di beni o come preferenze indebite.


Versamenti in conto capitale e natura giuridica

Secondo la giurisprudenza civile di legittimità, i versamenti effettuati dai soci in conto capitale, o comunque con analoghe dizioni (ad esempio “versamenti a fondo perduto”), non costituiscono un credito esigibile durante la vita della società. Tali apporti, infatti, vanno contabilizzati nel patrimonio netto come riserve di capitale, con indicazione distinta nella nota integrativa del bilancio. In altre parole, essi incrementano stabilmente la consistenza patrimoniale della società e non possono essere reclamati dai soci se non in sede di scioglimento e liquidazione. La loro restituzione, quindi, durante la vita della società e soprattutto in costanza di insolvenza, rappresenta un atto di distrazione di risorse a danno della massa dei creditori, e integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

La Corte ha ribadito che la qualificazione del versamento come apporto in conto capitale dipende dalla comune intenzione delle parti, che deve essere ricostruita attraverso le modalità concrete di esecuzione dell’operazione, le finalità pratiche perseguite e gli interessi sottesi. Solo in subordine assume rilievo la classificazione data in bilancio, la quale, in mancanza di chiara manifestazione di volontà negoziale, diventa determinante, anche perché il bilancio è soggetto all’approvazione assembleare dei soci.


Finanziamenti dei soci a titolo di mutuo

Diversa è la situazione in cui i soci effettuano versamenti qualificabili come finanziamenti a titolo di mutuo. In questo caso, si configura un vero e proprio rapporto di credito-debito tra il socio e la società, con il diritto del primo di ottenere la restituzione delle somme. Il prelievo da parte della società di somme finalizzate alla restituzione di tali finanziamenti, in una situazione di dissesto, non può essere considerato distrazione, poiché trova causa in un credito esistente. Tuttavia, se la società è insolvente e tali restituzioni avvengono in favore di alcuni soci a scapito della par condicio creditorum, esse integrano il reato di bancarotta preferenziale.

In questo senso, il pagamento del debito sociale nei confronti del socio-creditore rappresenta un atto idoneo a ledere l’interesse collettivo dei creditori, perché altera la regola della proporzionalità nella soddisfazione delle pretese. La Corte precisa che l’elemento soggettivo richiesto è la consapevolezza dello stato di insolvenza e l’intenzione di favorire un creditore rispetto agli altri.


Gli orientamenti giurisprudenziali consolidati

La sentenza del 25 giugno 2025 si colloca nel solco di un orientamento già consolidato sia in ambito civile che penale. La Cassazione civile aveva da tempo affermato che i versamenti in conto capitale costituiscono una forma di rafforzamento patrimoniale e non generano diritti di credito azionabili nel corso della vita sociale. Parallelamente, la giurisprudenza penale ha distinto chiaramente le due ipotesi: distrazione nel caso di restituzione di apporti a fondo perduto, preferenza indebita nel caso di rimborso di mutui soci.

La pronuncia in commento ribadisce questi principi, sottolineando l’importanza di una corretta qualificazione contabile e giuridica dei versamenti. La distinzione non è meramente formale, ma incide profondamente sulla responsabilità penale degli organi sociali, che devono essere consapevoli della diversa natura delle operazioni.


Le condizioni di configurabilità dei reati

Affinché si possa parlare di bancarotta per distrazione, è necessario che la restituzione riguardi somme che non costituiscono un credito del socio e che, pertanto, la loro sottrazione si traduca in un danno per la massa dei creditori. L’elemento oggettivo è rappresentato dall’indebita restituzione, mentre quello soggettivo consiste nel dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori.

Nel caso della bancarotta preferenziale, invece, occorre che la restituzione sia effettuata in presenza di un credito effettivo, ma con la consapevolezza dello stato di insolvenza e con l’effetto di favorire un creditore a danno degli altri. La prova dell’elemento soggettivo si desume dalle circostanze concrete, come la tempistica dell’operazione e le modalità con cui è stata eseguita.


Implicazioni pratiche per la gestione societaria

La distinzione tracciata dalla giurisprudenza ha importanti conseguenze pratiche per amministratori e liquidatori. In situazioni di crisi, essi devono prestare particolare attenzione alla natura dei versamenti effettuati dai soci e alla loro contabilizzazione. Una erronea qualificazione può condurre a responsabilità penale diretta. Inoltre, l’approvazione del bilancio diventa un momento cruciale, poiché la classificazione adottata può assumere rilievo decisivo in sede processuale.

La sentenza n. 23813/2025 funge da monito nei confronti di coloro che, in fasi di dissesto, tentano di privilegiare i soci attraverso restituzioni indebite. La tutela della par condicio creditorum e la salvaguardia del patrimonio sociale restano principi cardine del diritto fallimentare, la cui violazione è punita severamente. Il richiamo alla necessità di ricostruire l’intenzione delle parti, anche al di là delle diciture utilizzate, sottolinea inoltre l’importanza di un’analisi sostanziale delle operazioni, che non può limitarsi a meri formalismi contabili.

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