Legalità delle strutture amovibili e qualificazione edilizia della “pergotenda”
- Luca Baj
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La questione della qualificazione edilizia delle strutture amovibili, e in particolare della cosiddetta “pergotenda”, continua a costituire oggetto di attenzione giurisprudenziale per le sue implicazioni pratiche in materia urbanistica e per i riflessi che genera in relazione agli obblighi autorizzativi e sanzionatori. La recente pronuncia della Corte di cassazione penale, sezione III, sentenza 22 agosto 2025 n. 29638, affronta il tema della riconducibilità dell’installazione di una pergotenda nell’ambito dell’attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 6 del D.P.R. 380/2001, oppure nell’alveo degli interventi soggetti a permesso di costruire, alla luce della creazione di nuovi volumi abitativi o spazi funzionalmente autonomi.
Inquadramento normativo e principio di legalità ediliziaIl D.P.R. 380/2001, testo unico dell’edilizia, stabilisce una netta distinzione tra interventi liberi, soggetti a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), e opere che necessitano di permesso di costruire. L’articolo 6, comma 1, lettera b-ter, come modificato dal D.L. 69/2024, convertito con legge n. 105/2024, qualifica come attività edilizia libera le opere dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee e prive di un impatto stabile sull’assetto edilizio preesistente.Tuttavia, l’intervento giurisprudenziale recente precisa che, nel caso in cui una struttura amovibile determini un aumento della volumetria o comporti un nuovo spazio coperto destinato in modo stabile all’uso abitativo, essa perde il carattere di precarietà e diventa un manufatto edilizio a tutti gli effetti, richiedendo il rilascio di un titolo abilitativo.
Il caso sottoposto alla Cassazione e la ratio decidendiNel caso esaminato dalla Suprema Corte, il proprietario di un immobile aveva installato una pergotenda in un’area pertinenziale del fabbricato, composta da struttura metallica ancorata al suolo e da copertura retraibile in materiale plastico, chiusa sui lati da pannelli trasparenti. L’opera, secondo il ricorrente, doveva ritenersi esente da permesso di costruire in quanto destinata a proteggere dal sole e dalle intemperie uno spazio di uso temporaneo. Il giudice di merito, invece, aveva accertato che la struttura, per dimensioni, materiali e ancoraggio, aveva generato un volume chiuso e stabile, idoneo a creare un nuovo ambiente abitativo. Ne conseguiva la configurabilità del reato edilizio di cui all’articolo 44, comma 1, lettera b), del D.P.R. 380/2001 per esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire.
La Corte di cassazione, confermando la sentenza impugnata, ha ribadito che il criterio distintivo tra pergotenda e nuova costruzione risiede non nella terminologia utilizzata dal privato o nella removibilità teorica della struttura, ma nella sua funzione oggettiva e nella trasformazione materiale e funzionale dell’immobile. Se l’opera crea uno spazio coperto, chiuso o stabilmente ancorato al suolo, destinato ad un uso durevole, essa è da considerarsi nuova costruzione.
La nozione di amovibilità e il concetto di precarietà d’usoLa giurisprudenza più recente ha precisato che la precarietà deve essere valutata non sulla base della facile rimozione fisica del manufatto, bensì sull’uso cui esso è destinato. È dunque la destinazione funzionale – temporanea o permanente – a determinare la natura giuridica dell’intervento.Nel caso della pergotenda, la Corte ha osservato che l’opera si configura come struttura edilizia permanente ogniqualvolta sia idonea a modificare in modo durevole l’assetto dell’immobile, creando un ambiente chiuso che incrementa la volumetria o altera la sagoma.Questa interpretazione risponde a un criterio sostanzialistico che supera la mera valutazione formale dell’opera, conformemente alla giurisprudenza amministrativa e penale che tende a privilegiare la tutela del territorio come bene costituzionalmente protetto.
Implicazioni pratiche per la disciplina edilizia e penaleLa pronuncia ribadisce il principio di legalità edilizia in senso rigoroso: la realizzazione di opere non precarie, anche se denominate “pergotende” o “verande leggere”, integra un intervento edilizio rilevante e soggetto a titolo abilitativo. In ambito penale, la violazione delle norme urbanistiche comporta la responsabilità del costruttore e del proprietario ai sensi dell’articolo 44 del D.P.R. 380/2001. La natura permanente del reato di costruzione abusiva comporta inoltre la possibilità di perseguire l’autore fino alla rimozione dell’opera o al rilascio del permesso in sanatoria, se compatibile con la pianificazione urbanistica.
La Corte sottolinea che la configurabilità del reato non è esclusa dall’eventuale successivo smontaggio della struttura, poiché l’offesa all’ordinamento urbanistico si realizza nel momento stesso della trasformazione del territorio. La successiva rimozione può incidere soltanto sulla misura della pena o sull’adozione di provvedimenti ripristinatori.
La convergenza con la giurisprudenza amministrativaLa Cassazione si pone in linea con le più recenti pronunce del Consiglio di Stato (tra cui Sez. VI, n. 3118/2024 e n. 8924/2023), che hanno affermato come la realizzazione di coperture fisse o chiusure laterali in vetro o plexiglass configuri un intervento di trasformazione edilizia non riconducibile all’attività libera.Le strutture che alterano la sagoma o incidono sulla volumetria dell’edificio, anche se dotate di elementi retrattili o smontabili, necessitano di permesso di costruire. Diversamente, le semplici tende parasole, pergolati leggeri o coperture prive di chiusure laterali rientrano nella manutenzione libera.
L’orientamento dottrinale e le sue ricadute sistemicheLa dottrina urbanistica e penalistica ha evidenziato come la giurisprudenza in materia di pergotende si muova verso una progressiva razionalizzazione del concetto di opera edilizia, ricondotto a criteri di trasformazione fisica e funzionale del territorio.Ciò implica una ridefinizione del confine tra edilizia libera e costruzioni soggette a titolo abilitativo, orientata alla tutela del paesaggio e del bene ambientale, ma anche alla certezza dei rapporti giuridici.L’adozione di criteri univoci consente di evitare il proliferare di interpretazioni difformi tra enti locali, che spesso ha generato incertezza applicativa e contenzioso.
L’effetto deterrente delle sanzioni urbanistiche e la tutela del territorioLa Corte, nel ribadire la natura penalmente rilevante dell’intervento abusivo, ha evidenziato la funzione preventiva della sanzione penale, la quale mira non solo a reprimere l’abuso, ma anche a tutelare il corretto governo del territorio. La demolizione dell’opera abusiva costituisce misura ripristinatoria necessaria e inderogabile, funzionale al recupero della legalità urbanistica. Essa, inoltre, mantiene carattere reale e può essere eseguita anche nei confronti del successivo acquirente del bene, in quanto connessa al manufatto e non alla persona del costruttore.
Conclusione sulla funzione sistemica della decisioneLa pronuncia della Cassazione consolida un principio ormai stabile: la pergotenda che crea nuovi volumi o spazi abitativi non può rientrare tra le attività edilizie libere. Tale impostazione valorizza la ratio di tutela del territorio, riaffermando che la libertà edilizia incontra il limite dell’impatto permanente sul bene paesaggistico e urbanistico.L’orientamento interpretativo, improntato a criteri sostanziali e coerenti con la funzione di prevenzione del reato edilizio, rappresenta un punto fermo nella costruzione di un diritto penale urbanistico fondato su responsabilità oggettive, certezza del diritto e salvaguardia della legalità edilizia come valore primario dell’ordinamento.
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