Processo Tributario: la Consulta estende il diritto alla prova in appello. Cadono i divieti assoluti su deleghe e procure
- Luca Baj
- 3 giorni fa
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Con una decisione di notevole impatto sul contenzioso tributario, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 36 depositata il 27 marzo 2025, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 58, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 (come modificato dal D.Lgs. n. 220/2023, di riforma del processo tributario) e della correlata norma transitoria (articolo 4, comma 2, del D.Lgs. n. 220/2023). La pronuncia, destinata a incidere profondamente sui giudizi d'appello pendenti, ha fatto cadere il divieto assoluto di depositare per la prima volta in secondo grado deleghe, procure e altri atti di conferimento del potere rappresentativo, ritenendolo lesivo del principio di ragionevolezza e della parità delle armi. Rimane invece fermo, e costituzionalmente legittimo, il divieto assoluto di produzione in appello delle notifiche degli atti impugnati e di quelli presupposti.
Il contesto normativo: la riforma del processo tributario e i nuovi divieti probatori
L'intervento della Consulta si inserisce nel solco della recente riforma del processo tributario operata dal D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, in attuazione della legge delega n. 111/2023. Tale riforma, animata dall'obiettivo di ridurre i tempi del contenzioso e di rafforzare il divieto di nova in appello, aveva riscritto l'articolo 58 del D.Lgs. n. 546/1992, introducendo una disciplina più stringente per la produzione di nuove prove nel giudizio di secondo grado.
In particolare, il nuovo comma 3 dell'articolo 58 stabiliva: «[n]on è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell'articolo 14 comma 6-bis». Un divieto, dunque, di carattere assoluto, che non ammetteva deroghe nemmeno per le prove ritenute indispensabili ai fini della decisione o per quelle che la parte dimostrava di non aver potuto produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile (eccezioni invece previste dal comma 1 del medesimo articolo 58 per la generalità dei nuovi documenti).
La norma transitoria (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 220/2023) prevedeva l'immediata applicazione di tale nuovo e più restrittivo regime ai giudizi d'appello instaurati a decorrere dal giorno successivo all'entrata in vigore della riforma (cioè dal 5 gennaio 2024), anche se relativi a sentenze di primo grado emesse sotto la previgente e più permissiva disciplina.
Le questioni sollevate e le motivazioni della corte costituzionale
Le Corti di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia avevano sollevato dubbi di legittimità costituzionale su tali previsioni, lamentando in sintesi:
Irragionevolezza e lesione della parità delle armi (art. 3 Cost.): Il divieto assoluto di produrre in appello atti come deleghe e procure, essenziali per dimostrare la regolare costituzione del rapporto processuale o la legittimità dell'azione impositiva, appariva sproporzionato e lesivo del diritto di difesa, soprattutto quando la mancata produzione in primo grado non fosse imputabile alla parte.
Violazione del Diritto di Difesa (art. 24 Cost.) e del Giusto Processo (art. 111 Cost.): L'impossibilità di sanare in appello eventuali vizi formali relativi alla rappresentanza o all'assistenza tecnica, attraverso la produzione di documenti prima ammessi, comprimeva eccessivamente il diritto delle parti a un pieno ed effettivo contraddittorio.
Eccesso di Delega (art. 76 Cost.): Si contestava che la legge delega avesse solo previsto un generico "rafforzamento" del divieto di nova, non autorizzando l'introduzione di un divieto così radicale e privo di eccezioni.
Irrazionalità della Norma Transitoria: L'applicazione immediata del nuovo regime ai giudizi d'appello su sentenze di primo grado definite con la vecchia disciplina frustrava l'affidamento delle parti che, confidando nella possibilità di produrre tali documenti in appello, potevano aver omesso di farlo in primo grado.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 36/2025, ha accolto parzialmente queste censure.
Sulla parziale illegittimità del divieto assoluto per deleghe e procure
La Consulta ha riconosciuto che il divieto assoluto di depositare in appello deleghe, procure e altri atti di conferimento del potere rappresentativo (sostanziale e processuale) risulta manifestamente irragionevole e in contrasto con il principio di parità delle armi. La Corte ha osservato che tali documenti non costituiscono temi di prova attinenti al merito della causa, bensì sono strumentali alla regolare costituzione del rapporto processuale e alla verifica della legittimazione e dell'assistenza tecnica. La loro esclusione assoluta in appello, anche quando la produzione in primo grado sia stata incolpevolmente omessa, determina una ingiustificabile compressione del diritto alla prova e del diritto di difesa. Il legislatore del 2023, pur perseguendo la lodevole finalità deflattiva di limitare il materiale cognitivo acquisibile in appello, non ha trovato un "appiglio nelle caratteristiche oggettive – strutturali, effettuali e funzionali – degli atti esclusi" per giustificare una disciplina così radicalmente diversificata rispetto alla regola generale (che ammette la produzione di documenti indispensabili o incolpevolmente non prodotti). La Corte ha sottolineato che questo divieto assoluto, oltre a non avere una ragionevole ratio distinguendi, altera la parità delle armi, in quanto sottrae una facoltà difensiva alla parte che, in base al thema decidendum, sia chiamata a fornirne dimostrazione in giudizio.Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, limitatamente alle parole «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti,».Per effetto di questa pronuncia, tali documenti potranno ora essere prodotti in appello alle condizioni e nei limiti della disciplina generale prevista dal comma 1 dell'articolo 58: ossia, se il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero se la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Sulla legittimità del divieto assoluto per le notifiche
Diversa è stata la valutazione della Corte per quanto riguarda il divieto assoluto di produrre in appello le notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità. Tale divieto è stato ritenuto non fondato e quindi costituzionalmente legittimo. La Consulta ha argomentato che questi documenti forniscono la prova di una condizione di validità o di efficacia dell'esercizio della funzione impositiva, e la loro produzione esaurisce l'attività istruttoria su quel punto. L'atto tributario produce i suoi effetti tipici per mezzo della notificazione. Pertanto, "o la notifica esiste – e quindi deve essere necessariamente conosciuta dall’amministrazione, sulla quale grava un dovere qualificato di documentazione del procedimento notificatorio e di conservazione e custodia dei relativi atti – prima che la pretesa impositiva venga azionata, oppure la stessa pretesa è da ritenersi inefficace ab origine e quindi non può essere fatta valere".La restrizione operata dal legislatore è apparsa quindi diretta a evitare che il giudizio d'appello venga instaurato al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure. La Corte ha richiamato la sua precedente giurisprudenza (sentenza n. 190/2023) sulle gravi inefficienze del sistema della riscossione e sulla proliferazione di controversie strumentali basate proprio su vizi di notifica. Il divieto, in questo caso, persegue una finalità di efficienza e di argine a comportamenti dilatori, senza ledere in modo sproporzionato il diritto di difesa, data la natura dell'atto (la notifica) che dovrebbe essere intrinsecamente disponibile all'ente impositore.
Sull'Illegittimità della norma transitoria
Coerentemente con la declaratoria di parziale incostituzionalità del divieto sostanziale, la Corte ha dichiarato anche l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. n. 220/2023, nella parte in cui prescrive che le nuove e più restrittive disposizioni sulle prove in appello (specificamente l'art. 1, comma 1, lettera bb), D.Lgs. n. 220/2023, che ha introdotto il nuovo art. 58) si applichino ai giudizi instaurati in secondo grado a decorrere dal 5 gennaio 2024, «anziché ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo».La Corte ha ritenuto che tale applicazione immediata a giudizi di appello su sentenze di primo grado definite con la precedente (e più permissiva) disciplina dei nova frustra l'aspettativa delle parti che, confidando sulla possibilità di produrre certi documenti in appello (come appunto deleghe e procure), potrebbero averne omesso la produzione in primo grado. Si tratta di una lesione del legittimo affidamento e di una forma di retroattività impropria non sorretta da adeguate giustificazioni sul piano della ragionevolezza.
Gli effetti della sentenza: cosa cambia per i giudizi pendenti
La decisione della Consulta ha effetti immediati e significativi:
Deleghe, Procure e Atti di Conferimento di Potere
La documentazione relativa al conferimento del potere rappresentativo sostanziale e processuale, o all'assistenza tecnica, potrà essere prodotta per la prima volta in appello se il collegio la riterrà indispensabile ai fini della decisione o se la parte dimostrerà di non averla potuta produrre in primo grado per causa non imputabile. Questo vale anche per i giudizi d'appello sorti su ricorsi di primo grado depositati prima del 5 gennaio 2024.
Notifiche
Rimane fermo il divieto assoluto di produrre in appello le relate di notifica degli atti impugnati o presupposti. Se l'Agente della Riscossione ha omesso di produrle in primo grado, non potrà farlo in appello, con le conseguenti implicazioni sulla validità/efficacia della pretesa.
Contenziosi Passati
La pronuncia sulla norma transitoria apre la strada alla possibilità di produrre deleghe e procure anche nei giudizi d'appello pendenti al momento dell'entrata in vigore della riforma del 2023, qualora il primo grado si fosse definito con la vecchia disciplina.
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