Fondi europei, l’Italia ha speso solo l’8% dei 74 miliardi disponibili: Bruxelles avverte sul rischio di ritardi e fondi perduti
- piscitellidaniel
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L’Italia ha utilizzato appena l’8% dei 74 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione europea attraverso i fondi strutturali e di coesione per il ciclo di programmazione 2021-2027. A quasi tre anni dall’avvio del periodo di spesa, i dati pubblicati dalla Commissione europea mostrano un ritmo di avanzamento ancora troppo lento rispetto agli obiettivi stabiliti, con il rischio concreto di perdere parte delle risorse se non verranno accelerati i progetti nei prossimi mesi. Si tratta di un dato che preoccupa Bruxelles e che riaccende il dibattito interno sulla capacità del Paese di utilizzare in modo efficiente i finanziamenti europei, in parallelo alla gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il quadro complessivo evidenzia una situazione di forte disomogeneità territoriale. Alcune regioni del Centro-Nord, come Emilia-Romagna, Toscana e Veneto, mostrano livelli di spesa più elevati, compresi tra il 12% e il 15%, grazie a una struttura amministrativa più efficiente e a una capacità di progettazione consolidata. Al contrario, nel Mezzogiorno la maggior parte dei programmi procede con ritardi significativi: Calabria, Sicilia e Campania non superano il 5% di avanzamento, mentre la Puglia e la Sardegna restano poco sopra quella soglia. Queste regioni, che dovrebbero essere le principali beneficiarie dei fondi europei, si trovano ora sotto pressione per accelerare la messa a terra dei progetti entro la fine del 2025, termine entro il quale dovranno essere rendicontate almeno le prime tranche di spesa.
Le difficoltà non riguardano soltanto l’attuazione dei progetti, ma anche la fase di programmazione. Molti interventi, soprattutto quelli legati alla transizione ecologica e alla digitalizzazione, richiedono procedure di approvazione complesse, valutazioni ambientali e cofinanziamenti nazionali che rallentano la realizzazione delle opere. A ciò si aggiunge la carenza di personale tecnico e amministrativo negli enti locali, che rappresenta uno dei principali ostacoli alla gestione dei fondi europei. In diversi casi, i comuni e le regioni si sono trovati senza competenze adeguate per predisporre i bandi e monitorare l’avanzamento dei lavori.
La Commissione europea ha espresso preoccupazione per i ritardi accumulati, sottolineando che l’Italia, pur essendo il secondo beneficiario netto dei fondi europei, continua a faticare nella loro attuazione. Il commissario per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira, ha ricordato che “la capacità di spesa è un indicatore di efficienza amministrativa e di fiducia nella politica pubblica”. Bruxelles ha invitato il governo italiano a semplificare le procedure e a rafforzare la collaborazione tra amministrazioni centrali e locali, evidenziando che la mancata spesa non solo rallenta lo sviluppo, ma mette a rischio la reputazione del Paese nei confronti delle istituzioni comunitarie.
Il Ministero per gli Affari europei, la Coesione e il PNRR, guidato da Raffaele Fitto, ha risposto ai rilievi di Bruxelles affermando che “la fase iniziale del ciclo di programmazione comporta sempre tempi tecnici di avvio” e che “i dati di spesa effettiva non riflettono ancora il numero di progetti già approvati e in corso di attuazione”. Fitto ha assicurato che entro il 2025 verrà raggiunto almeno il 40% dell’utilizzo delle risorse e che sono già in corso azioni di rafforzamento amministrativo, con l’assunzione di personale tecnico e la creazione di strutture di supporto per le regioni più in ritardo.
Un elemento cruciale è la sovrapposizione tra i fondi strutturali e le risorse del PNRR. Molti enti locali stanno infatti gestendo contemporaneamente i progetti finanziati dal piano di ripresa e quelli legati alla politica di coesione, con il rischio di dispersione delle competenze e di congestione amministrativa. Secondo la Corte dei Conti europea, il doppio canale di finanziamento ha generato in alcuni casi confusione nella rendicontazione e ritardi nella selezione delle opere, specialmente nei settori infrastrutturali e ambientali.
Tra i programmi con maggiore ritardo figurano quelli relativi alla transizione verde e all’inclusione sociale. I fondi destinati all’efficienza energetica e alla mobilità sostenibile hanno incontrato difficoltà nella fase di progettazione, mentre gli interventi per la coesione sociale e l’occupazione giovanile sono ostacolati da problemi di coordinamento tra le agenzie nazionali e i centri per l’impiego regionali. Anche i progetti per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e delle imprese stanno procedendo a rilento, in parte a causa della complessità dei bandi e delle verifiche tecniche richieste dall’Unione europea.
Il tema della capacità di spesa dei fondi europei non è nuovo per l’Italia. Già nei cicli precedenti, in particolare nel periodo 2014-2020, il Paese aveva registrato una delle percentuali più basse di utilizzo delle risorse comunitarie, con la necessità di ricorrere più volte alla flessibilità concessa da Bruxelles per evitare la restituzione dei fondi non utilizzati. Anche in questa programmazione, il rischio è che il tempo a disposizione si riduca sensibilmente, poiché la regola del “n+3” impone di completare la spesa entro tre anni dalla fine del periodo di impegno dei fondi.
La situazione italiana si inserisce in un contesto europeo più ampio, ma il divario con gli altri Stati membri resta marcato. Paesi come Polonia, Portogallo e Grecia hanno già superato il 20% di utilizzo delle risorse, grazie a sistemi di gestione più centralizzati e a una pianificazione anticipata degli investimenti. L’Italia, invece, continua a scontare un approccio frammentato e la lentezza dei processi autorizzativi, aggravata dalla complessità del quadro normativo nazionale.
Le imprese e le associazioni di categoria chiedono un cambio di passo, evidenziando che i fondi europei rappresentano un’occasione cruciale per rafforzare la competitività e sostenere la transizione tecnologica del sistema produttivo. Confindustria ha sottolineato la necessità di “una governance unitaria” che consenta di evitare sovrapposizioni e di garantire tempi certi per la realizzazione delle opere. Anche l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) ha chiesto al governo un maggiore supporto tecnico per la gestione dei progetti, ricordando che “molte amministrazioni locali non dispongono delle risorse professionali per rispettare le scadenze imposte da Bruxelles”.
L’Italia si trova dunque davanti a una sfida cruciale: accelerare l’utilizzo dei fondi europei per evitare la perdita di risorse e garantire che gli investimenti previsti producano effetti concreti sull’economia e sui territori. Con solo l’8% dei finanziamenti spesi, la strada appare ancora in salita e il tempo a disposizione si riduce, mentre l’Unione europea osserva con crescente attenzione l’andamento di un Paese che, pur essendo tra i principali destinatari delle risorse comunitarie, continua a faticare nel tradurle in risultati misurabili.

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