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Come è cambiata la finanza negli ultimi vent'anni

  • Immagine del redattore: Luca Baj
    Luca Baj
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

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Daniele Bozzalla, consulente finanziario e autore di I vent’anni che cambiarono la finanza (Rubbettino)


Dalla voce di un pioniere alla codificazione del risparmio gestito tra anni Settanta e Ottanta

La parabola del risparmio gestito italiano, come emerge dalla testimonianza dell’autore, segna il passaggio dall’«età bancaria» a un ordinamento fondato su regole di mercato e tutele del risparmiatore. Tra anni Sessanta e Ottanta, in un sistema bancocentrico, l’investimento privilegiava immobili e obbligazioni; la Borsa era illiquida. La svolta è l’affermarsi degli organismi di investimento collettivo e delle reti di collocamento. All’inizio la prassi precede la norma. La vendita di fondi esteri si muove in un quadro lacunoso, con schemi pionieristici e forte responsabilità personale. La vigilanza prudenziale è in Banca d’Italia; la trasparenza del mercato mobiliare viene strutturata con la legge n. 216/1974, che istituisce l’autorità di controllo. L’innovazione forza gli argini e costringe il legislatore a recepire prassi già operative. Il punto di svolta è la legge n. 77/1983 sui fondi comuni, che introduce autonomia patrimoniale del fondo, separazione fra gestore e banca depositaria e obbligo di regolamento. I decreti attuativi definiscono NAV, valorizzazioni, limiti d’investimento e doveri di best execution. L’industria esce dall’area grigia e diventa segmento regolato, con effetti sulla canalizzazione del risparmio e sulla profondità del listino. Si consolida la figura del promotore finanziario, oggi consulente abilitato all’offerta fuori sede ex art. 31 TUF, iscritto all’albo. L’offerta ai retail è sottoposta ai presìdi MiFID: anche profilatura, adeguatezza e appropriatezza, gestione dei conflitti, product governance, informativa e rendicontazione. L’artigianato del porta a porta si integra con compliance, sistemi IT, tracciamento dei flussi e formazione continua. Il racconto insiste su un dato: la bassa alfabetizzazione finanziaria. L’assenza di educazione economica ha spinto verso scelte difensive, mentre l’azionario restava appannaggio di minoranze. La diffusione dei fondi ha reso accessibile la diversificazione: il rischio del singolo titolo si diluisce su portafogli ampi; la due diligence è delegata a gestori soggetti a regole di organizzazione e controllo dei rischi. Rilevante la concorrenza tra reti: provvigioni, obiettivi di collocamento, specializzazioni territoriali ed effetto scuola. La crescita impone un salto nei controlli interni: KYC e antiriciclaggio, politiche di inducement, presìdi sulla distribuzione di prodotti complessi e divieto di comunicazioni fuorvianti. Il marketing si confronta con standard che impongono coerenza tra messaggio e caratteristiche del prodotto. Nella prospettiva dell’autore, la normazione non cancella la dimensione umana della consulenza. La fiducia resta capitale intangibile, costruito con continuità relazionale e coerenza con il profilo di rischio. La governance riduce l’arbitrio ma non sostituisce il giudizio professionale nel tradurre scenari macro in scelte compatibili con obiettivi e orizzonte del cliente. Il quadro odierno include fattori ESG e l’accesso ad asset non quotati – private equity, private debt, infrastrutture – con requisiti di illiquidità e trasparenza diversi dagli OICR aperti.

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