Tasse più alte per le banche, ma il conto rischiano di pagarlo i clienti
- Martina Migliorati
- 2 giorni fa
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Il confronto tra governo e banche sulle nuove imposte rischia di avere ripercussioni dirette su famiglie e imprese. Palazzo Chigi punta a incrementare del 2% l’Irap sugli istituti di credito tra il 2026 e il 2028, per un gettito aggiuntivo di 4 miliardi, cui si aggiungerebbero 1,6 miliardi derivanti dal contributo volontario che permetterebbe alle banche di affrancare le riserve al 27,5% anziché al 40%. In totale, circa 10 miliardi in più all’Erario nel triennio.
Un importo rilevante ma sostenibile, considerando che nel 2024 gli utili netti del settore hanno raggiunto i 46 miliardi e nel primo semestre 2025 hanno superato i 15 miliardi (+15,9%). Dopo aver evitato nel 2023 l’imposta sugli extraprofitti, gli istituti stavolta non avrebbero scappatoie. Tuttavia, la riduzione dei margini potrebbe tradursi in meno credito e in maggiori costi per i clienti, in un contesto di tassi d’interesse in calo e margini sempre più compressi.
L’esperienza recente della riduzione delle garanzie pubbliche sui prestiti mostra già i potenziali effetti di simili misure. I crediti bancari garantiti dallo Stato ammontano oggi a circa 270 miliardi, eredità delle misure varate dal governo Conte durante la pandemia (circa 500 miliardi di garanzie, pari al 13-14% del Pil). Il ministro Giorgetti ha iniziato a ridurre la copertura con la legge di bilancio 2024 e intende proseguire nel 2026, per contenere la spesa pubblica e favorire l’uscita dalla procedura Ue per deficit eccessivo.
Ma la stretta si è già fatta sentire: la copertura del Fondo di garanzia è scesa dal 60% al 50% per i finanziamenti di liquidità e dall’80% al 70% per gli investimenti, con un calo dei prestiti alle Pmi. Nel 2024 il credito alle imprese è cresciuto solo del 2,4%, mentre nei primi mesi del 2025 i finanziamenti alle piccole aziende (meno di 20 addetti) sono diminuiti di 2,7 miliardi (-2,8%), a fronte di un aumento per le imprese più grandi (+8,2 miliardi).
Il costo medio dei nuovi prestiti alle Pmi resta elevato, intorno al 5,34% nel 2025, contro il 4,48% per le grandi aziende. Intanto peggiora la qualità del credito: nel 2024 i nuovi crediti deteriorati sono saliti all’1,4%, con un rischio crescente per effetto della stagnazione economica e delle tensioni internazionali. A pesare ci sono anche i casi di cattiva gestione: la Banca d’Italia ha riscontrato che quasi un quinto dei crediti garantiti dallo Stato presenta irregolarità, tra carenze documentali e utilizzo improprio dei fondi. Emblematico il caso di Banca Progetto, commissariata nel marzo 2025 per operazioni sospette e perdite per oltre 110 milioni; a settembre, cinque grandi banche italiane e il Fitd sono intervenuti con 400 milioni per salvarla. Ora, con la doppia stretta — più tasse e minori garanzie pubbliche — il rischio è che le banche scarichino i costi su famiglie e imprese, aumentando tassi e commissioni. Il ministro Giorgetti ha invitato gli istituti a “maggiore dinamismo sul fronte del credito”, mentre Luigi Sbarra ha sottolineato le difficoltà delle aziende più piccole nell’accesso ai finanziamenti.
Se il governo intende ridurre la propria esposizione e gli extraprofitti bancari, resta però il pericolo di un nuovo credit crunch in una fase di rallentamento economico. Senza una reale concorrenza nel settore, la moral suasion di Palazzo Chigi rischia di restare lettera morta — e, come spesso accade, il conto finale lo pagheranno i cittadini.




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