Migrazioni: l’ultima frontiera dei trafficanti, motoscafi fantasma a oltre 120 km/h e rotte sempre più letali
- piscitellidaniel
- 15 ore fa
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La scena è drammatica e in continua evoluzione: lungo la rotta centrale del Mediterraneo, gruppi di migranti coordinati dai trafficanti stanno sperimentando nuove pratiche, meno visibili ma più pericolose, per attraversare il mare in direzione Europa. I motoscafi sono diventati strumenti privilegiati di questa “ultima frontiera”: imbarcazioni ultraveloci, spesso semisommergibili o dotate di profilo molto basso per eludere i radar, che viaggiano a velocità superiori ai 120 km/h nelle ore notturne o in condizioni di scarsa visibilità. Le motovedette clandestine – definite dai testimoni «fantasma» – partono da coste africane o tunisine e arrivano in poche ore, contrariamente ai vecchi barconi, mettendo a rischio la vita dei migranti e aumentando i profitti dei trafficanti. Questa evoluzione nel modo di operare della criminalità transnazionale delle migrazioni impone una risposta complessa sul piano del contrasto, della cooperazione internazionale, della gestione delle frontiere e della protezione dei diritti umani.
La modalità di attraversamento ultrarapida si basa su “flash crossing” organizzati: gruppi ridotti di persone – talvolta decine invece di centinaia – partono in notturna, a bordo di motoscafi performanti, al largo delle coste nordafricane. Da testimonianze degli operatori della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera emerge che queste imbarcazioni mancano di alcuna segnalazione sistematica, spesso procedono controcorrente rispetto alle rotte classiche e cercano zone meno pattugliate per ridurre la probabilità di intercettazione. Il risultato è un tempo di attraversamento drasticamente ridotto, ma una maggiore esposizione al rischio: l’elevata velocità, la ridotta galleggiabilità in caso di malfunzionamento, l’equipaggiamento essenziale e l’assenza di sicurezza amplificano la mortalità nei casi di incidente. Le autorità italiane e dell’Unione europea segnalano che, sebbene le imbarcazioni siano più piccole, il danno per le vite umane è maggiore.
Un punto cruciale è il profilo strutturale dei trafficanti: le organizzazioni si sono adattate alle pressioni crescenti delle forze dell’ordine e ai controlli rafforzati sulle rotte tradizionali, scoprendo che le motovedette ultraveloci permettono di sottrarsi più facilmente ai sistemi di interdizione e ai radar di sorveglianza marittima. Le partenze spesso avvengono da porti minori o spiagge isolate in Tunisia, da dove si lanciano corse notturne verso le coste siciliane, calabresi o sarde. Le tariffe sono molto alte, con costi per migrante che variano dai 4.000 euro ai 6.000 euro o più per garantire la corsa veloce. Questo modello ha un duplice effetto: incrementa i margini dei trafficanti e riduce la probabilità di intercettazione, spingendo il traffico verso rotte secondarie più insidiose e meno monitorate.
Il fenomeno rappresenta una sfida anche per i sistemi di soccorso marittimo. Le competenze della Guardia Costiera e delle forze dell’ordine italiane sono messe alla prova nel dover adattare strategie, dotazioni tecnologiche e protocolli operativi per far fronte a imbarcazioni più rapide, meno visibili e con tempi di attraversamento ridotti. La presenza di questi “fantasmi del mare” rende più complicata la vigilanza preventiva e richiede un aumento delle risorse per il pattugliamento, l’uso di droni, radar costieri e collaborazioni con le autorità tunisine e nordafricane. L’intercettazione diventa più difficile anche per il fatto che spesso questi mezzi agiscono fuori dalle zone più sorvegliate e cambiano rotta all’ultimo momento, riducendo l’efficacia delle operazioni di preavviso.
Sul piano politico il fenomeno alimenta tensioni sulla gestione della frontiera meridionale dell’Europa. L’Italia è frontline state nell’accoglienza e nella difesa delle rotte migratorie e solleva con forza la questione della cooperazione internazionale, della responsabilità condivisa e dell’efficacia delle misure di contrasto ai traffici. Il nuovo assetto operativo dei trafficanti richiede un aggiornamento delle strategie di contrasto: il mero controllo delle coste o delle partenze appare insufficiente. Occorre intervenire sia sull’origine del traffico, su cui incidono i fattori di povertà, guerra e instabilità nei paesi di partenza, sia sulla dimensione criminale del business, puntando a rimodellare l’azione preventiva e repressiva con strumenti investigativi transnazionali, accordi di estradizione e maggiore trasparenza nei circuiti finanziari utilizzati dai trafficanti.
La componente umana del fenomeno non può essere ignorata: i migranti che accedono a questi viaggi estremamente rischiosi spesso provengono da contesti di disperazione, guerre, persecuzioni o condizioni economiche insostenibili. La prospettiva di raggiungere rapidamente l’Europa in motoscafi "flash" è presentata dai trafficanti come una opzione "migliore" rispetto ai lunghi viaggi su imbarcazioni fatiscenti, ma le condizioni a bordo rimangono gravemente precarie: gruppi stipati, assenza di dispositivi di salvataggio adeguati, equipaggiamento minimo, navigazione notturna in mare aperto. Ogni divisione secondaria o malfunzionamento finisce per trasformarsi in tragedia, e molti episodi di “ghost landings” silenziosi – sbarchi non segnalati o minimizzati – sono registrati dalle autorità e dai media locali.
L’Italia ha registrato un numero elevato di sbarchi “fantasma” nelle zone meno sorvegliate, spesso durante la notte o in spiagge isolate, che testimoniano la presenza di questi gruppi mobili. L’intercettazione tardiva o la stessa scoperta del punto di partenza rendono difficoltose le investigazioni. Il nesso traffico-migranti-motoscafi ad alta velocità impone un ripensamento dell’azione sia nazionale che europea: non più solo contrasto a barconi sovraccarichi ma una lotta sofisticata contro modelli logistici rapidi e segmentati che sfuggono ai controlli tradizionali.

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