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COP30 e la dichiarazione finale: l’appello di António Guterres per un accordo equilibrato nella fase più delicata della diplomazia climatica

La parte conclusiva della COP30, il vertice mondiale sul clima ospitato quest’anno in un contesto politico e scientifico di grande incertezza, è stata caratterizzata da negoziati serrati, posizioni divergenti e un forte intervento del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che ha sollecitato le delegazioni a trovare un “accordo equilibrato” capace di affrontare con realismo e coraggio la crisi climatica. La fase finale della conferenza ha mostrato la distanza ancora significativa tra i Paesi industrializzati, le economie emergenti e gli Stati più vulnerabili, ma ha anche evidenziato una crescente consapevolezza che un compromesso è indispensabile per evitare un ulteriore deterioramento della governance climatica internazionale. Guterres ha richiamato con forza l’urgenza di segnare un passo avanti sostanziale rispetto alle conferenze precedenti, sottolineando che l’attuale traiettoria delle emissioni globali non è compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.


Nelle ultime ore di negoziato è emersa con chiarezza la difficoltà di allineare interessi nazionali, strategie energetiche, obiettivi economici e impegni climatici. I Paesi più avanzati hanno insistito sulla necessità di mantenere un percorso di riduzione delle emissioni coerente con la soglia di 1,5 gradi, mentre molte economie in via di sviluppo hanno chiesto che tale obiettivo non diventi uno strumento punitivo nei confronti delle loro necessità di crescita. Le discussioni si sono concentrate su tre assi principali: l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, il finanziamento climatico e l’adattamento delle comunità più esposte agli impatti ambientali. Su tutti questi piani, la distanza negoziale è apparsa inizialmente molto ampia, motivo per cui l’appello del segretario generale ha assunto un ruolo politico decisivo.


Uno dei punti più discussi riguarda il linguaggio da inserire nel testo finale in merito ai combustibili fossili. Il dibattito ha oscillato tra chi sostiene la formula “phase-out”, ossia l’eliminazione totale nel lungo periodo, e chi propone la più morbida “phase-down”, cioè la progressiva riduzione, che lascia spazio a un margine di continuità nel ricorso a petrolio e gas. La bozza di accordo circolata nelle ultime sessioni ha cercato un compromesso, introducendo riferimenti sia alla necessità di ridurre drasticamente le emissioni sia alla possibilità di adottare tecnologie di cattura del carbonio nei settori dove la transizione è più complessa. Questa soluzione non soddisfa pienamente né gli ambientalisti né alcuni Paesi esportatori, ma rappresenta uno dei pochi punti in cui è stato possibile trovare una sintesi accettabile da più blocchi negoziali.


Il tema del finanziamento climatico rappresenta un altro nodo cruciale. Gli Stati più vulnerabili hanno ribadito che senza risorse adeguate non possono sostenere i costi dell’adattamento e della mitigazione, mentre i Paesi sviluppati sono stati chiamati a chiarire l’impegno concreto oltre i fondi già previsti nelle precedenti COP. La discussione ha riguardato non solo l’ammontare complessivo dei finanziamenti, ma anche le modalità di erogazione, la governance dei meccanismi di accesso ai fondi e la ripartizione degli oneri tra economie avanzate e Paesi emergenti ad alte emissioni. Alcune delegazioni hanno chiesto che venga aggiornato l’intero sistema dei finanziamenti, definito ormai obsoleto rispetto alla scala della crisi climatica, mentre altre hanno insistito affinché i nuovi contributi non si trasformino in vincoli eccessivi per economie già soggette a pressioni interne.


Guterres ha invitato i negoziatori a non limitarsi a difendere posizioni consolidate, ma a considerare l’impatto globale delle scelte collettive. L’obiettivo, secondo il segretario generale, è evitare che la COP30 si chiuda con un testo debole, incapace di orientare la transizione energetica in modo efficace. Il vertice si svolge infatti in un momento storico in cui gli eventi climatici estremi hanno raggiunto una frequenza senza precedenti. Ondate di calore, alluvioni, incendi e desertificazione stanno alterando profondamente le economie, con conseguenze sociali e finanziarie che amplificano le tensioni politiche tra Nord e Sud del mondo. Il richiamo del vertice è dunque legato non solo alla necessità di mitigare le emissioni, ma anche alla gestione di un rischio globale che incide sulla stabilità politica, sulla sicurezza alimentare e sulle migrazioni.


Sul fronte dell’adattamento, le delegazioni hanno discusso la creazione di obiettivi quantificabili, con l’intento di trasformare i principi generali delle precedenti conferenze in strumenti operativi monitorabili. La questione più delicata riguarda la definizione di criteri uniformi che possano essere adottati sia dai Paesi con capacità finanziarie avanzate sia da quelli che necessitano di supporto tecnico e amministrativo per implementare politiche efficaci. Molti Stati insulari hanno insistito affinché la dichiarazione finale includa un riferimento esplicito alla protezione delle popolazioni costiere e alle infrastrutture a rischio, sottolineando che la sopravvivenza di intere comunità dipende dalla velocità con cui verranno attuati i piani di adattamento.


Nelle fasi conclusive della COP30 è emersa anche la volontà di rafforzare i meccanismi di verifica dell’impegno degli Stati. Le delegazioni hanno lavorato a una formulazione che preveda un monitoraggio più stringente degli obiettivi climatici, pur evitando di introdurre obblighi che possano bloccare l’approvazione del testo finale da parte dei Paesi più reticenti. Il punto di equilibrio individuato nelle ultime bozze mira a consolidare un processo di revisione periodica che tenga conto delle capacità nazionali, includa dati scientifici aggiornati e consenta aggiustamenti continui in base all’andamento delle emissioni.


L’intervento di Guterres ha sottolineato che un accordo debole rischierebbe di minare la credibilità dell’intero sistema multilaterale e di creare nuove fratture tra blocchi geopolitici già divisi. Ha insistito sulla necessità di salvaguardare il principio della responsabilità comune ma differenziata, senza però trasformarlo in un alibi per ritardare la transizione energetica. Il compromesso, secondo il segretario generale, deve essere costruito sull’equilibrio tra ambizione e realismo, tra obblighi collettivi e margini nazionali, tra riduzione delle emissioni e giustizia climatica.

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