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Polemiche sull’ormeggio da 550 euro all’anno: il caso dell’imbarcazione di Roberto Fico e la conferma del ministro Crosetto

Il caso riguardante l’ormeggio dell’imbarcazione di Roberto Fico nel porto militare di Nisida continua a generare tensioni politiche e mediatiche. L’ex presidente della Camera, oggi candidato alla presidenza della Regione Campania, si trova al centro di accuse e sospetti legati al trattamento agevolato ricevuto per il posto barca, il cui costo annuale sarebbe pari a circa 550 euro, una cifra considerata anomala rispetto ai prezzi di mercato per aree di analogo livello. L’attenzione è cresciuta dopo che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha confermato che la concessione fu inizialmente giustificata da esigenze di sicurezza legate all’incarico istituzionale ricoperto da Fico nel 2018 e che tale beneficio è stato mantenuto anche al termine del mandato.


La gestione dell’area di ormeggio, ricadente sotto la responsabilità dell’Accademia Aeronautica e della sezione velica ad essa collegata, è stata uno degli aspetti oggetto di chiarimento. Secondo quanto dichiarato dal ministero, fu il comandante pro tempore dell’Accademia a concedere l’utilizzo del posto barca al fine di garantire condizioni di protezione adeguate a una figura istituzionale esposta. Ciò che ha riacceso il dibattito è la permanenza della concessione anche dopo la conclusione del ruolo istituzionale, elemento che molti hanno interpretato come un privilegio non più giustificato.


La questione ha acceso immediatamente il confronto politico. Esponenti del centrodestra hanno sollevato dubbi sull’opportunità di mantenere un trattamento agevolato in assenza dell’incarico pubblico che lo aveva originato. L’accusa principale riguarda la presunta incoerenza tra la narrazione politica di Fico, spesso incentrata sulla sobrietà e sull’opposizione ai privilegi, e l’utilizzo di un beneficio percepito come non accessibile ai cittadini comuni. Le opposizioni sostengono che non sia in discussione il possesso di un’imbarcazione, quanto la trasparenza delle condizioni con cui è stato concesso e mantenuto l’ormeggio.


Fico ha risposto respingendo fermamente le accuse, definendo l’intera vicenda una strumentalizzazione politica priva di fondamento. Ha precisato che l’imbarcazione è un semplice gozzo usato e ha ribadito di non aver mai usufruito di alcun trattamento irregolare o contrario alle norme vigenti. Secondo la sua versione, tutto sarebbe avvenuto in modo legittimo, sulla base delle valutazioni di sicurezza effettuate dall’autorità militare competente. Ha attribuito l’escalation mediatica alla campagna elettorale e al tentativo di deviare l’attenzione da questioni politiche più rilevanti per la Regione.


Il nodo centrale rimane comunque quello della tariffa: 550 euro all’anno risultano infatti notevolmente inferiori alle somme comunemente richieste per un ormeggio in aree di particolare protezione o in porti situati in zone di pregio. La discrepanza tra il prezzo pagato e il valore di mercato alimenta interrogativi sulla correttezza del trattamento e sul rispetto dei principi di equità nell’uso di beni e infrastrutture gestite in ambito militare o pubblico. Anche l’assenza di un atto formale di revoca o di revisione della concessione dopo il termine del mandato istituzionale contribuisce a rendere la vicenda un terreno fertile per polemiche politiche.


Il ministero ha annunciato controlli più ampi, non limitati al caso Fico, per verificare se esistano situazioni analoghe in altri porti o strutture appartenenti alle Forze Armate. L’obiettivo dichiarato è garantire omogeneità nella gestione delle concessioni, trasparenza nei criteri applicati e revisione di eventuali irregolarità. In questo senso, l’episodio potrebbe diventare un caso pilota per l’aggiornamento dei regolamenti interni e per l’introduzione di parametri più stringenti nella concessione di spazi gestiti da enti militari.


Il contesto elettorale rende il clima ancora più acceso. La vicenda coinvolge non solo la reputazione personale di Fico ma anche la credibilità politica del progetto che rappresenta. Ogni elemento della sua immagine pubblica — dalla sobrietà alla distanza dai privilegi — viene sottoposto a un attento scrutinio, soprattutto da parte degli avversari politici che vedono nella questione un punto critico su cui fare leva. La dialettica tra accusatori e difensori contribuisce ad alimentare un dibattito che tocca temi più ampi: l’equità nell’uso degli spazi pubblici, la coerenza nella gestione dei benefici legati agli incarichi istituzionali, la trasparenza nei rapporti tra politica e amministrazione militare.


La vicenda, inoltre, approfondisce una riflessione più generale sul rapporto tra figure pubbliche e utilizzo di beni sottoposti a gestione statale o militare. Il confine tra beneficio legato alla sicurezza e privilegio ingiustificato è spesso difficile da tracciare, soprattutto quando le condizioni di accesso non vengono aggiornate al mutare delle circostanze. L’assenza di una chiara normativa che definisca tempi e criteri di revoca o revisione delle concessioni può generare zone grigie in cui si innestano facilmente critiche e sospetti.


L’evoluzione del caso nelle prossime settimane dipenderà anche dai risultati delle verifiche interne e dalle eventuali risposte formali dell’amministrazione militare. La posizione ufficiale del ministero e l’esito delle ricognizioni potrebbero chiarire se la situazione sia riconducibile a una prassi consolidata, a un’applicazione discutibile ma regolare delle norme o a un’anomalia da correggere. Ciò che appare certo è che, nel pieno di una campagna elettorale, ogni dettaglio assume un peso politico rilevante e contribuisce a definire la percezione pubblica dei candidati e delle istituzioni coinvolte.

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