Donald Trump rilancia le trivellazioni offshore: nuove concessioni in California, Florida, Alaska e nel Golfo del Messico
- piscitellidaniel
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Il nuovo piano energetico statunitense presentato da Donald Trump introduce una trasformazione profonda nella politica delle trivellazioni offshore, puntando ad ampliare in modo significativo le aree destinate all’estrazione di petrolio e gas lungo le principali coste degli Stati Uniti. La strategia prevede l’apertura a nuove concessioni in regioni che per decenni erano state sottoposte a rigidissime restrizioni o a vere e proprie moratorie, delineando un cambio di rotta che mira a consolidare quella che l’ex presidente definisce «dominanza energetica nazionale». Le aree coinvolte includono porzioni rilevanti della costa della California, un settore del Golfo del Messico storicamente considerato off-limits, tratti delle acque al largo della Florida e nuove zone nell’Artico e in Alaska, comprese quelle in cui le condizioni ambientali e climatiche rendono le operazioni tecnologicamente complesse.
Il piano si fonda sulla revisione dei programmi federali di gestione delle concessioni energetiche offshore. La Casa Bianca sostiene che l’attuale fase storica richieda un incremento della produzione interna per rafforzare l’autonomia degli Stati Uniti rispetto ai mercati internazionali degli idrocarburi e per sostenere la competitività del settore petrolifero. La previsione di autorizzare aste in aree che erano rimaste chiuse per decenni rappresenta uno dei tratti più significativi del progetto, specialmente in California, dove la tradizione normativa ha sempre privilegiato la protezione delle coste. La proposta introduce sei nuove vendite programmate tra la fine del 2027 e il 2030, in zone caratterizzate da profondità elevate e presenza di ecosistemi marini particolarmente sensibili.
In Florida la misura riguarda un tratto di mare che era stato più volte escluso dalle operazioni di esplorazione a causa delle implicazioni turistiche ed economiche per le comunità costiere. Il nuovo piano, invece, inserisce questa area tra quelle che potranno essere oggetto di concessione, introducendo criteri tecnici aggiuntivi per mitigare il rischio ambientale e prevedendo sistemi avanzati di monitoraggio. Nel settore orientale del Golfo del Messico il piano federale prevede lo sblocco di restrizioni storiche a partire dal 2029, aprendo alla possibilità di autorizzare nuove installazioni e attività estrattive in un’area che ha un ruolo centrale nell’equilibrio energetico e navale statunitense.
Particolarmente rilevante è la previsione relativa all’Alaska e all’Artico, regioni nelle quali l’estrazione comporta condizioni operative severe e la necessità di tecnologie estremamente avanzate. Il progetto include oltre venti lotti in fase di analisi, posizionati sia nella parte costiera sia in zone più a nord, dove l’impatto climatico, la presenza di ghiacci e la delicatezza degli ecosistemi rendono le attività energetiche oggetto di un confronto politico e scientifico complesso. La motivazione dell’amministrazione riguarda la disponibilità di risorse ingenti, ritenute strategiche per sostenere la produzione nazionale nel lungo periodo e per garantire una maggiore resilienza del sistema energetico interno.
Le reazioni nei singoli Stati sono state immediate. In California le autorità locali hanno ribadito la contrarietà a qualunque espansione delle attività estrattive, richiamando l’importanza della tutela delle coste, del turismo e delle economie collegate al patrimonio naturale. Anche in Florida emerge una forte attenzione da parte di operatori economici e amministrazioni locali, preoccupati dall’impatto che nuove piattaforme potrebbero avere su settori cruciali come pesca e turismo. In Alaska il dibattito si concentra sulle conseguenze per le comunità indigene, sul rischio di incidenti in zone remote e sulla sostenibilità delle operazioni in ambiente artico.
Sul piano industriale la proposta ha trovato invece consenso tra le principali compagnie energetiche, che intravedono nell’espansione delle concessioni una possibilità per aumentare investimenti e capacità estrattiva. La competitività dei mercati globali rende infatti strategica la disponibilità di nuovi bacini, soprattutto in un contesto in cui la domanda mondiale di petrolio continua a mantenersi elevata nonostante le politiche di transizione energetica. Le imprese valutano inoltre che l’adozione di tecnologie più avanzate possa ridurre i rischi operativi, rendendo più sostenibile la gestione delle piattaforme offshore sia in termini economici sia ambientali.
Il piano comporta anche una riorganizzazione complessiva della struttura normativa, con l’introduzione di procedure accelerate per le autorizzazioni, incentivi per gli investimenti e un rafforzamento degli standard tecnici necessari per ottenere le concessioni. La revisione dei criteri di valutazione ambientale e dei parametri di sicurezza mira a rendere più rapido il processo decisionale federale, pur mantenendo un controllo formale sul rispetto delle condizioni operative richieste.
L’espansione delle trivellazioni offshore ha implicazioni che riguardano non solo la politica energetica ma anche il confronto tra i livelli federale e statale, la gestione della fascia costiera, le relazioni con gli attori economici e il posizionamento internazionale degli Stati Uniti. L’incremento della produzione nazionale potrebbe influenzare i mercati globali, modificare equilibri commerciali e rafforzare il ruolo degli Stati Uniti come esportatore, mentre gli impatti territoriali continueranno a essere oggetto di confronto tra chi sostiene la necessità di una produzione più ampia e chi rivendica la tutela delle coste e degli ecosistemi.

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