Ricavi fermi nel 2025: il rallentamento di auto e moda pesa sull’industria italiana
- piscitellidaniel
- 10 ore fa
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Il 2025 si apre per l’economia italiana con una frenata evidente della crescita dei ricavi industriali, trainata al ribasso da due dei settori storicamente più rappresentativi del Made in Italy: l’automotive e la moda. Le analisi dei principali osservatori economici mostrano un quadro di stagnazione, con un fatturato complessivo dell’industria che, a valori costanti, non registra progressi rispetto all’anno precedente. La dinamica è influenzata da un insieme di fattori interni ed esterni: il rallentamento della domanda globale, la debolezza dei consumi domestici, la crescita dei costi di produzione e la persistente incertezza geopolitica. Questi elementi stanno erodendo la fiducia delle imprese e comprimendo la redditività, mentre le filiere produttive si trovano a dover affrontare la doppia sfida della transizione ecologica e digitale.
Il settore automobilistico resta il più colpito. Dopo anni di ristrutturazioni e flessioni cicliche, la produzione di autoveicoli in Italia continua a calare a causa della domanda in contrazione, della concorrenza estera e dei ritardi negli investimenti sulle tecnologie elettriche. L’assenza di un piano industriale organico per la transizione e la riduzione degli incentivi all’acquisto di veicoli a basse emissioni hanno contribuito a un clima di forte incertezza per le aziende del comparto. Le case costruttrici e la componentistica segnalano una riduzione degli ordini e una contrazione del fatturato, aggravata da costi energetici e logistici ancora elevati. Le previsioni indicano un calo della produzione di circa il 20% rispetto ai livelli pre-pandemia, con effetti a cascata su tutto l’indotto. Le imprese della filiera stanno cercando di compensare la diminuzione della domanda interna con l’export, ma anche i mercati esteri mostrano segnali di saturazione, in particolare nell’area europea, dove la competizione dei produttori asiatici di veicoli elettrici si fa sempre più intensa.
Parallelamente, il settore moda attraversa una fase di rallentamento dopo un biennio di crescita sostenuta. I grandi marchi del lusso mantengono livelli di redditività elevati, ma i produttori di fascia media e gli artigiani della filiera subiscono una contrazione significativa, soprattutto nelle esportazioni verso l’Asia. La domanda cinese, che aveva trainato il comparto negli ultimi anni, risulta debole, mentre il mercato europeo mostra una polarizzazione tra beni di alta gamma e prodotti low cost. Le aziende italiane si trovano a fronteggiare margini più stretti e costi crescenti per materie prime, energia e logistica. Inoltre, il calo dei consumi interni incide sulle vendite al dettaglio e sulle collezioni stagionali, con una riduzione degli ordini anche per i fornitori di tessuti e accessori. Molte imprese del fashion system hanno avviato programmi di riorganizzazione e investimenti digitali, ma i ritorni economici di queste operazioni richiedono tempo e capitale, due risorse sempre più scarse in un contesto di crescita limitata.
Il rallentamento di auto e moda si riflette sull’intero sistema manifatturiero. La produzione industriale registra una flessione diffusa nei beni durevoli e intermedi, mentre il comparto dei beni di consumo riesce solo parzialmente a compensare con la stabilità della domanda alimentare e farmaceutica. Le aziende segnalano difficoltà nel trasferire sui listini finali l’aumento dei costi di produzione, in particolare quelli legati all’energia e al trasporto, con una compressione dei margini di profitto. Anche gli investimenti restano contenuti, frenati dal costo del credito e dall’incertezza sulla tenuta dei mercati. Il tessuto delle piccole e medie imprese, che costituisce la base dell’industria italiana, appare esposto a maggiori rischi di liquidità e di riduzione degli ordini, soprattutto nei distretti produttivi tradizionali.
Sul piano della domanda, i consumi interni continuano a essere influenzati dalla perdita di potere d’acquisto delle famiglie e dal clima di prudenza che frena gli acquisti di beni non essenziali. Le vendite di auto nuove restano inferiori ai livelli pre-pandemici, mentre la spesa per abbigliamento si concentra su fasce di prezzo medio-basse. La combinazione di inflazione, tassi d’interesse elevati e salari reali stagnanti limita la propensione alla spesa, aggravando le difficoltà delle imprese più legate al mercato domestico. Gli analisti rilevano che anche l’export, pur rimanendo un fattore di sostegno, mostra un rallentamento, segno che la contrazione non è solo nazionale ma inserita in un contesto globale di minore domanda industriale e commerciale.
Le prospettive per il 2025 indicano un quadro complesso: la crescita del Pil resta debole e le attese sui ricavi industriali si mantengono stabili, con un possibile miglioramento solo nella seconda metà dell’anno se le condizioni internazionali dovessero normalizzarsi. I settori ad alto contenuto tecnologico e sostenibile — come l’elettronica, la meccanica avanzata, l’energia e il farmaceutico — mostrano segnali di maggiore resilienza, ma la loro capacità di traino non è sufficiente a compensare la flessione dei comparti tradizionali. La necessità di politiche industriali mirate, incentivi agli investimenti produttivi e misure di supporto alla transizione green e digitale appare ormai imprescindibile per restituire dinamismo all’industria italiana in un anno che si preannuncia di consolidamento più che di crescita.

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