Guterres: “Il mondo ha fallito sull’obiettivo di 1,5 gradi”. Aspettative in ribasso per la Cop30 in Brasile e nuova allerta sul clima globale
- piscitellidaniel
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Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato un nuovo, drammatico monito alla comunità internazionale: il mondo ha ormai fallito l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Le parole, pronunciate in vista della Cop30 che si terrà nel 2025 in Brasile, suonano come una dichiarazione di resa parziale davanti all’evidenza dei dati scientifici e alle scarse azioni intraprese dai governi negli ultimi anni. Guterres ha parlato di “una catastrofe climatica in corso” e di “un fallimento collettivo” delle istituzioni globali, incapaci di rispettare gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi del 2015. La sua analisi non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche: gli attuali piani nazionali di riduzione delle emissioni, anche se pienamente attuati, porterebbero il pianeta verso un riscaldamento di almeno 2,8 gradi entro fine secolo.
Secondo il segretario generale, la traiettoria attuale delle politiche ambientali è “una marcia verso il disastro”, e i segnali del cambiamento climatico sono già tangibili in ogni continente. Le ondate di calore record registrate nell’ultimo biennio, gli incendi di portata mai vista in Nord America, le alluvioni che hanno devastato l’Asia e l’Africa e lo scioglimento accelerato delle calotte polari rappresentano, secondo Guterres, “non un avvertimento, ma un sintomo di un sistema climatico fuori controllo”. Le sue parole, pronunciate durante una conferenza al Palazzo di Vetro, hanno immediatamente alimentato il dibattito internazionale, in un momento in cui la diplomazia climatica appare più fragile che mai.
La Cop30, che si svolgerà a Belém, nello Stato brasiliano del Pará, dove l’Amazzonia incontra l’oceano, avrebbe dovuto segnare una svolta nella governance ambientale mondiale. Tuttavia, le aspettative si stanno ridimensionando. Il contesto geopolitico, segnato da guerre, tensioni economiche e competizione tra grandi potenze, ha relegato la questione climatica in secondo piano. L’attenzione delle economie avanzate è concentrata sulle emergenze energetiche e sulla sicurezza industriale, mentre i Paesi emergenti chiedono maggiore flessibilità per sostenere la crescita. In questo scenario, il rischio di un nuovo stallo negoziale è concreto. Gli osservatori delle Nazioni Unite temono che, senza un impegno deciso da parte delle principali economie, la conferenza brasiliana possa trasformarsi in una vetrina diplomatica priva di risultati concreti.
Il richiamo di Guterres ha assunto toni particolarmente duri nei confronti dei governi che continuano a investire nei combustibili fossili. “Non possiamo estinguere l’incendio della crisi climatica versando benzina sul fuoco”, ha dichiarato, accusando esplicitamente le compagnie energetiche di perpetuare un modello di sviluppo incompatibile con la sopravvivenza del pianeta. Il segretario generale ha chiesto la fine immediata dei sussidi ai combustibili fossili, la riduzione del 45% delle emissioni globali entro il 2030 e l’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili, che dovrebbero triplicare nei prossimi cinque anni. Tuttavia, gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia Internazionale dell’Energia mostrano un quadro contraddittorio: mentre le rinnovabili crescono, anche la produzione di petrolio e gas ha raggiunto nuovi record, sostenuta dalla domanda globale e dalle tensioni sui mercati energetici.
Il Brasile, Paese ospitante della Cop30, si trova in una posizione strategica ma complessa. Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha promesso di fare dell’Amazzonia “il cuore della transizione ecologica globale”, ma le pressioni interne e internazionali restano forti. Da un lato, il governo brasiliano ha avviato piani per ridurre la deforestazione e incentivare la bioeconomia; dall’altro, deve fronteggiare le resistenze del settore agricolo e minerario, pilastri dell’economia nazionale. Lula punta a presentare la conferenza come un’occasione di riscatto per il Sud globale, promuovendo un “patto per la giustizia climatica” che garantisca maggiori risorse finanziarie ai Paesi in via di sviluppo, ma gli analisti temono che le promesse possano restare sulla carta, come accaduto in precedenti vertici.
L’Unione Europea, intanto, appare divisa. Alcuni Stati membri spingono per un’accelerazione della transizione energetica, mentre altri chiedono un approccio più graduale per proteggere la competitività industriale. Gli Stati Uniti, dopo i progressi dell’Inflation Reduction Act, devono fare i conti con un Congresso polarizzato che ostacola nuovi investimenti federali nel clima. La Cina, principale emettitore mondiale di CO₂, ha annunciato piani ambiziosi per lo sviluppo del solare e dell’eolico, ma continua a costruire nuove centrali a carbone per garantire la sicurezza energetica. In questo contesto frammentato, le parole di Guterres appaiono come un tentativo di scuotere una comunità internazionale sempre più disillusa e divisa.
Il segretario generale ha anche richiamato l’attenzione sulla crescente disuguaglianza nella risposta alla crisi climatica. I Paesi più poveri, pur contribuendo in minima parte alle emissioni globali, sono i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico. L’Africa subsahariana, l’Asia meridionale e le isole del Pacifico stanno subendo un aumento dei disastri naturali e un calo della produttività agricola che minaccia la sicurezza alimentare di centinaia di milioni di persone. “Non è solo una questione ambientale — ha affermato Guterres — ma di giustizia, equità e diritti umani. La crisi climatica è una bomba sociale che rischia di esplodere in instabilità e conflitti”.
Il messaggio di Guterres giunge in un momento cruciale, a pochi mesi dalla presentazione dei nuovi piani climatici nazionali che dovranno essere discussi proprio alla Cop30. Gli scienziati dell’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, hanno già avvertito che ogni frazione di grado oltre la soglia di 1,5 porterà conseguenze irreversibili: l’innalzamento del livello dei mari, la perdita di biodiversità e la desertificazione di vaste aree del pianeta. La speranza, sempre più fragile, è che il vertice in Brasile riesca almeno a ristabilire un minimo di fiducia tra i governi e a definire un percorso realistico di adattamento e mitigazione.
Ma il quadro delineato dal segretario generale delle Nazioni Unite è chiaro: la finestra per salvare il pianeta si sta chiudendo rapidamente. La sfida climatica, più che una questione tecnica o economica, è diventata ormai una prova di volontà politica e morale per l’intera umanità.

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