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Le fusioni bancarie rallentano il credito alle imprese: l'allarme delle Pmi



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Nel pieno del nuovo ciclo di fusioni tra istituti di credito, torna al centro del dibattito l’impatto di questi processi sull’erogazione di credito, soprattutto verso le piccole e medie imprese.

Le grandi banche coinvolte nelle operazioni vedono nel consolidamento una leva di efficienza, con economie di scala e razionalizzazione delle strutture in grado di rafforzare la competitività e la capacità di servizio all’economia reale.

Ma dal lato delle “prede”, spesso realtà territoriali più piccole, si solleva un allarme: la riduzione del numero di operatori e la scomparsa delle banche di prossimità rischiano di tradursi in un’offerta di credito più scarsa e selettiva.

A confermare la complessità del fenomeno è uno studio della Banca d’Italia, che evidenzia come, nel breve e medio periodo, le fusioni bancarie possano comportare una riduzione temporanea del credito.

L’effetto, stimato in un calo medio dei prestiti alle imprese del 2% nei tre anni successivi all’integrazione, deriva da fattori organizzativi, strategici e tecnici: chiusura di sportelli, uscita di personale commerciale, migrazione dei sistemi informatici e ridefinizione dei limiti di rischio per settori o territori.

Il fenomeno è ben visibile nei dati relativi alle principali aggregazioni del sistema bancario italiano: Banco Popolare – BPM (2017), Intesa Sanpaolo – UBI (2021), Crédit Agricole – Creval (2022), BPER – Carige (2022).

In tutti questi casi, nell’anno della fusione e in quello successivo, i prestiti concessi risultano in calo rispetto allo stock registrato dalle due banche l’anno prima.

Le piccole imprese, che spesso si affidano a una rete di più banche e privilegiano istituti locali, sono le più vulnerabili.

La revisione delle reti commerciali e le nuove strategie di rischio delle banche post-fusione portano spesso a una riduzione delle linee di credito.

Chi non riesce a trovare nuovi finanziamenti rischia di trovarsi in difficoltà, specie in un contesto in cui le condizioni monetarie restano restrittive.

La dinamica del credito tra il 2021 e il 2023 lo dimostra chiaramente: le banche medie e piccole hanno fatto segnare una crescita dei prestiti del +5,7%, mentre i grandi gruppi bancari hanno registrato un calo del -2,4%.

Un divario che riflette una maggiore focalizzazione degli istituti minori sull’attività creditizia tradizionale, contro una maggiore diversificazione dei grandi gruppi.

Il risultato è un rischio concreto: che le fusioni, pur generando efficienze, finiscano per penalizzare l’accesso al credito delle imprese più piccole e più legate al territorio.

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