La configurazione dell’autoriciclaggio nella giurisprudenza più recente della Cassazione
- Luca Baj
- 12 ott
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La Corte di cassazione, con la sentenza n. 25348 del 9 luglio 2025 della seconda sezione penale, ha offerto un rilevante chiarimento interpretativo in materia di reati contro il patrimonio, e in particolare sulla condotta materiale che integra il delitto di autoriciclaggio previsto dall’articolo 648-ter.1 del codice penale. La pronuncia si colloca nel solco di un progressivo ampliamento dell’area del penalmente rilevante, teso a colpire non solo le condotte di occultamento o trasformazione più sofisticate, ma anche quelle che, pur formalmente trasparenti, risultino concretamente idonee a ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa dei beni.

Il principio affermato dalla Suprema Corte
La Corte ha stabilito che, ai fini della configurabilità del reato di autoriciclaggio, non è necessario che l’agente realizzi operazioni dirette a impedire in modo assoluto l’identificazione dell’origine illecita dei beni, ma è sufficiente che la sua condotta renda anche solo più difficile o ritardata tale individuazione. In questa prospettiva, la mera tracciabilità dei flussi finanziari non esclude la sussistenza del reato, qualora le operazioni poste in essere abbiano l’effetto, anche potenziale, di frapporre ostacoli agli accertamenti.
Il principio innovativo introdotto dalla sentenza consiste nell’attribuire rilevanza penale anche a operazioni di deposito bancario di denaro di provenienza illecita, giacché il versamento comporta automaticamente la sostituzione del denaro illecito con denaro "pulito", in virtù della fungibilità del bene monetario e dell’obbligo dell’istituto di credito di restituire al correntista il tantundem. L’operazione bancaria, pur tracciabile, produce quindi l’effetto sostanziale di separare il denaro originariamente illecito dal suo collegamento materiale con l’attività delittuosa fonte.
La natura della condotta e il suo rapporto con la tracciabilità
La decisione si pone in linea con l’orientamento già espresso in precedenti pronunce (tra cui Cass. Sez. II, 14 marzo 2019, La Gardenia S.r.l.), secondo cui la tracciabilità formale delle operazioni finanziarie non è di per sé sufficiente a escludere la configurabilità del riciclaggio o dell’autoriciclaggio. L’elemento essenziale è costituito non dalla trasparenza documentale dell’operazione, ma dalla sua idoneità oggettiva a ostacolare l’accertamento della provenienza dei fondi.
Il reato si realizza dunque anche in assenza di strutture complesse di interposizione o di schermatura, purché l’azione produca un effetto concreto o potenziale di ostacolo. La Corte ha inteso in tal modo rafforzare l’efficacia repressiva della norma, colmando le lacune che avevano permesso, in passato, di escludere la punibilità di operazioni “pulite” sul piano formale ma elusive sotto il profilo sostanziale.
L’elemento soggettivo e la consapevolezza della provenienza delittuosa
Sotto il profilo soggettivo, la Corte ribadisce che per l’autoriciclaggio è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere operazioni atte a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni, con la consapevolezza della loro origine delittuosa. Non è richiesto un fine specifico di profitto o di vantaggio economico.
In ciò si distingue il delitto di autoriciclaggio da quello di riciclaggio tradizionale (articolo 648-bis c.p.), dove la condotta è riferita a un soggetto diverso da quello autore del reato presupposto. L’agente di autoriciclaggio, invece, è colui che ha commesso o concorso nel reato da cui derivano i proventi, e la punibilità è circoscritta alle operazioni che non costituiscono il mero godimento personale del profitto, il quale resta impunito ai sensi del terzo comma dell’articolo 648-ter.1.
Il confine tra autoriciclaggio e godimento del profitto
La sentenza offre anche spunti di rilievo per distinguere il reato di autoriciclaggio dal mero godimento del profitto. La Corte precisa che l’esclusione della punibilità si giustifica solo per gli atti di consumo personale del bene, come la spesa, l’acquisto di beni di uso immediato o il pagamento di esigenze di vita quotidiana. Diversamente, ogni forma di investimento, reimpiego o deposito che consenta al denaro illecito di essere reinserito nel circuito economico, anche se tracciabile, integra il delitto di autoriciclaggio.
La ratio della norma è evitare che l’autore del reato presupposto possa “ripulire” il profitto della propria attività criminale attraverso operazioni di investimento o movimentazioni bancarie formalmente lecite. È quindi irrilevante che il denaro sia stato versato su un conto personale, su quello di un congiunto o di una società, purché l’operazione sia diretta a rendere più complesso l’accertamento dell’origine dei fondi.
Il valore sistematico della pronuncia e l’evoluzione della giurisprudenza
Con tale pronuncia la Corte consolida un indirizzo interpretativo volto a garantire un’applicazione estensiva e sostanziale della norma incriminatrice, coerente con gli obiettivi di contrasto al riciclaggio previsti a livello internazionale. La giurisprudenza nazionale si allinea così ai principi contenuti nelle Raccomandazioni del GAFI (Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale), secondo cui la repressione deve estendersi a ogni comportamento che, anche solo indirettamente, favorisca la reintegrazione dei proventi criminali nell’economia legale.
Il valore della sentenza si coglie anche nella prospettiva di prevenzione patrimoniale: riconoscendo la rilevanza penale di condotte apparentemente “neutre” come i versamenti bancari, la Corte mira a disincentivare l’utilizzo degli strumenti finanziari ordinari per operazioni di riciclaggio interno, rafforzando la collaborazione tra autorità giudiziarie, banche e unità di informazione finanziaria.
Implicazioni pratiche e ricadute sul piano probatorio
Dal punto di vista processuale, la pronuncia amplia gli strumenti di accertamento del reato. L’attività investigativa potrà basarsi su elementi indiziari relativi alla sproporzione tra redditi leciti e disponibilità patrimoniali, alla frequenza delle movimentazioni o alla loro frammentazione artificiosa. Non è più necessario dimostrare una volontà di occultamento assoluto, ma sarà sufficiente accertare che l’operazione abbia avuto l’effetto di rendere difficoltoso il tracciamento dell’origine del denaro.
Ciò comporta un rafforzamento della tutela penale del patrimonio, inteso non solo come bene individuale, ma anche come interesse pubblico alla trasparenza del sistema economico. L’autoriciclaggio si colloca così al crocevia tra reati patrimoniali e criminalità economico-finanziaria, assumendo una funzione di presidio contro l’inquinamento del mercato legale e la circolazione dei capitali illeciti.
La decisione della Cassazione, in conclusione, costituisce un punto di svolta nella definizione dell’ambito applicativo dell’articolo 648-ter.1 c.p., affermando un’interpretazione sostanziale del concetto di “ostacolo all’accertamento”, in grado di rendere effettiva la repressione del fenomeno del reinvestimento dei proventi illeciti anche nelle sue forme più apparentemente innocue e ordinarie.
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