Confindustria: i dazi Usa minacciano l’export italiano, perdite stimate fino a 16,5 miliardi di euro
- piscitellidaniel
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L’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria ha acceso l’allarme sul futuro dell’export italiano verso gli Stati Uniti, stimando una possibile contrazione delle vendite fino a 16,5 miliardi di euro nel medio periodo a causa dell’inasprimento dei dazi e dell’orientamento protezionistico dell’economia americana. Le nuove tariffe introdotte da Washington su diversi comparti manifatturieri e agroalimentari europei rischiano di colpire in modo significativo i prodotti italiani, con effetti a catena sull’intera filiera produttiva.
Il rapporto sottolinea come il sistema industriale italiano sia fortemente interconnesso con il mercato statunitense, che rappresenta il primo sbocco extraeuropeo per le esportazioni nazionali. Le misure tariffarie annunciate, sommate alle incertezze valutarie e ai possibili contraccolpi sull’economia globale, mettono in difficoltà migliaia di imprese che negli ultimi anni hanno consolidato relazioni commerciali con partner e distributori americani. A essere più esposti risultano i settori a maggiore valore aggiunto: meccanica strumentale, moda, design, agroalimentare e automotive.
Secondo le stime elaborate, l’impatto delle nuove barriere doganali potrebbe tradursi in una riduzione media delle vendite pari al 2,7% del valore complessivo dell’export italiano negli Stati Uniti, con punte più elevate in alcuni comparti dove l’Italia detiene quote di mercato rilevanti. L’effetto non sarebbe immediato ma progressivo, legato alla rinegoziazione dei contratti, alla riduzione dei margini e alla perdita di competitività di fronte ai concorrenti locali o di altri Paesi esenti dai dazi.
L’analisi evidenzia anche il ruolo del cambio euro-dollaro, che amplifica le distorsioni create dalle misure tariffarie. Un euro forte riduce la competitività dei prodotti italiani, già appesantiti dai dazi, e aumenta il costo finale per l’acquirente americano. Le imprese esportatrici, in particolare le piccole e medie aziende, si trovano quindi nella condizione di dover scegliere tra l’assorbimento parziale dell’aumento dei costi o la perdita di quote di mercato. Entrambe le opzioni incidono negativamente sui bilanci e sugli investimenti futuri.
Tra le aree territoriali italiane più esposte spiccano Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, regioni che da sole rappresentano oltre il 60% dell’export verso gli Stati Uniti. In questi distretti, la contrazione prevista delle esportazioni potrebbe generare ripercussioni sull’occupazione e sulla tenuta di intere filiere produttive. Le imprese della meccanica di precisione, dell’arredamento e dell’agroalimentare sono quelle più a rischio, poiché operano in settori in cui la concorrenza internazionale è intensa e la sostituibilità dei prodotti, per il mercato statunitense, è più elevata di quanto non si pensi.
Confindustria segnala che le tariffe potrebbero incidere non solo sui beni finiti, ma anche su semilavorati e componenti destinati a catene del valore integrate con partner americani. Il risultato sarebbe un incremento dei costi di produzione e un rallentamento degli ordini anche per le aziende italiane che operano come fornitori indiretti per l’industria Usa. Gli effetti cumulativi di tali dinamiche, se confermati, potrebbero ridurre la competitività complessiva del sistema manifatturiero nazionale e compromettere gli equilibri della bilancia commerciale.
Le imprese si trovano così a dover valutare strategie di mitigazione: rinegoziare i contratti di fornitura, diversificare i mercati di sbocco, spostare parte della produzione in Paesi meno colpiti dai dazi o rafforzare la presenza diretta negli Stati Uniti attraverso filiali produttive o joint venture. Tuttavia, queste scelte richiedono risorse finanziarie significative e tempi lunghi di implementazione, in un contesto in cui la volatilità delle politiche commerciali rende difficile pianificare investimenti a lungo termine.
Il rapporto di Confindustria evidenzia inoltre che i dazi non colpiscono in modo uniforme tutti i settori, ma si concentrano su quelli in cui gli Stati Uniti intendono proteggere la propria produzione interna. Ciò riguarda, ad esempio, la metallurgia, la chimica fine, l’elettronica e parte della filiera agricola, dove i prodotti italiani hanno registrato un’espansione costante negli ultimi anni. L’aumento dei costi doganali rischia di frenare questo processo di crescita e di spostare le forniture verso Paesi extraeuropei meno penalizzati.
La perdita di competitività dell’export italiano verso gli Stati Uniti potrebbe inoltre innescare un effetto domino su altri mercati collegati, in particolare quelli asiatici e mediorientali, dove i dazi americani tendono a ridisegnare le rotte del commercio globale. Le aziende italiane potrebbero subire indirettamente la pressione della riallocazione degli scambi internazionali e dell’aumento dei prezzi delle materie prime importate.
In un quadro internazionale dominato da nuove tensioni commerciali, le prospettive delineate da Confindustria mettono in evidenza la vulnerabilità del modello economico italiano, fortemente dipendente dalle esportazioni manifatturiere e dai rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. Il rischio maggiore è che la guerra dei dazi finisca per ridurre la capacità del sistema industriale di mantenere la propria presenza nei mercati strategici e di sostenere la crescita interna, in un momento in cui la domanda europea mostra segnali di rallentamento.
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