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Cina, crolla l’export di ottobre: -11% su base annua. Pesano la debolezza dei consumi interni e l’impatto dei dazi internazionali

La Cina registra un brusco calo delle esportazioni nel mese di ottobre, segnando un -11% su base annua e confermando le difficoltà strutturali che il Paese sta affrontando nel commercio globale. I dati diffusi dalle autorità doganali cinesi mostrano una contrazione più marcata del previsto, che riflette non solo il rallentamento della domanda esterna, ma anche la persistente debolezza dei consumi interni e l’effetto crescente delle tensioni commerciali con Stati Uniti ed Europa. Si tratta della peggiore performance dell’export cinese dall’inizio dell’anno, un segnale di preoccupazione per un’economia che, dopo la pandemia, fatica a ritrovare slancio.


Le esportazioni, da sempre motore della crescita cinese, sono state penalizzate da un contesto internazionale caratterizzato da inflazione elevata, tassi d’interesse ancora alti e un clima di incertezza geopolitica che ha ridotto la propensione agli investimenti. I principali partner commerciali del Paese – in particolare Stati Uniti e Unione Europea – hanno registrato un rallentamento della domanda di beni manifatturieri, colpendo settori chiave come l’elettronica, i macchinari industriali e i prodotti tessili. L’export verso gli Stati Uniti, secondo le stime ufficiali, è diminuito di oltre il 15%, mentre le vendite dirette verso l’Europa hanno subito un calo a doppia cifra, soprattutto nei comparti dei beni di consumo e della componentistica tecnologica.


A incidere ulteriormente sul risultato sono le misure protezionistiche adottate da diversi Paesi occidentali. I nuovi dazi introdotti da Washington su prodotti tecnologici e componenti per veicoli elettrici, insieme alle restrizioni europee sulle importazioni di pannelli solari e batterie cinesi, stanno pesando in modo significativo sull’industria export-oriented del Paese. Pechino ha denunciato pubblicamente quella che considera una “discriminazione commerciale sistemica”, accusando gli Stati Uniti di voler rallentare l’ascesa tecnologica cinese. Gli analisti ritengono tuttavia che la Cina stia pagando anche il prezzo della sua dipendenza dalle esportazioni industriali, in un contesto in cui la globalizzazione è entrata in una fase di ridefinizione e i Paesi occidentali cercano di rilocalizzare parte della produzione.


Parallelamente, anche la domanda interna continua a mostrare segni di debolezza. I consumi delle famiglie, che avrebbero dovuto trainare la ripresa post-pandemia, restano al di sotto dei livelli pre-2020. Il mercato immobiliare, ancora in crisi dopo il crollo di giganti come Evergrande e Country Garden, ha ridotto la ricchezza disponibile delle famiglie, mentre la disoccupazione giovanile – ufficialmente intorno al 15% ma stimata più alta – incide sulla fiducia dei consumatori. Le importazioni di ottobre, pur in leggera ripresa rispetto al mese precedente, rimangono inferiori alle attese, segnalando una domanda interna insufficiente a compensare il calo dell’export.


Il governo cinese, attraverso il Ministero del Commercio, ha riconosciuto la complessità della situazione e annunciato nuove misure di sostegno alle imprese esportatrici. Tra le iniziative previste figurano agevolazioni fiscali, semplificazioni doganali e linee di credito agevolate per le aziende che operano nei settori strategici, in particolare nelle tecnologie verdi e nella manifattura avanzata. Pechino sta inoltre spingendo per diversificare i mercati di sbocco, rafforzando i rapporti commerciali con i Paesi del Sud-Est asiatico, dell’America Latina e dell’Africa, che rappresentano oggi un contrappeso parziale alla contrazione dei flussi verso l’Occidente.


Le esportazioni verso i Paesi membri dell’ASEAN, ad esempio, sono diminuite solo del 3%, mostrando una maggiore tenuta rispetto agli altri mercati. In particolare, le relazioni con l’India e l’Indonesia si stanno intensificando, anche grazie agli accordi bilaterali firmati nell’ambito della Belt and Road Initiative, che rimane una delle principali leve diplomatiche ed economiche di Pechino. Tuttavia, gli esperti sottolineano che la domanda dei mercati emergenti non è sufficiente a compensare la perdita di volumi verso Stati Uniti ed Europa, sia per il minor potere d’acquisto di questi Paesi sia per le difficoltà logistiche legate al commercio intercontinentale.


Sul fronte valutario, il renminbi ha mostrato una leggera tendenza al deprezzamento rispetto al dollaro, spinto dal rallentamento dell’economia e dalle politiche monetarie più restrittive della Federal Reserve. Una moneta più debole, in teoria, dovrebbe favorire le esportazioni, ma la volatilità dei cambi e l’incertezza globale rendono i vantaggi meno significativi. La Banca centrale cinese ha finora mantenuto un atteggiamento prudente, intervenendo solo marginalmente per stabilizzare i mercati finanziari.


L’industria cinese dell’elettronica, uno dei settori più colpiti, sta cercando di reagire accelerando la produzione di semiconduttori domestici e investendo in ricerca e sviluppo. Tuttavia, le restrizioni imposte da Washington all’export di chip avanzati e tecnologie sensibili continuano a ostacolare la piena autonomia tecnologica del Paese. Anche l’industria automobilistica elettrica, altro pilastro della strategia industriale cinese, subisce gli effetti dei dazi europei e delle indagini sulla concorrenza sleale avviate da Bruxelles.


Secondo gli economisti, il calo dell’export di ottobre potrebbe avere ripercussioni dirette sul PIL del quarto trimestre. Le stime preliminari indicano una crescita annuale intorno al 4,5%, al di sotto dell’obiettivo ufficiale del 5% fissato da Pechino. Il governo centrale, tuttavia, mantiene un atteggiamento di cautela, confidando nella ripresa dei consumi interni e nel rafforzamento degli investimenti pubblici in infrastrutture e tecnologie emergenti.


Gli osservatori internazionali concordano nel ritenere che la Cina si trovi in una fase di transizione complessa: da un modello basato sulle esportazioni e sugli investimenti industriali verso uno più orientato al consumo e ai servizi. La sfida per Pechino sarà quella di gestire questa trasformazione senza compromettere la stabilità economica e sociale, mentre le tensioni geopolitiche e i cambiamenti strutturali del commercio mondiale continuano a ridisegnare gli equilibri globali.


Il crollo dell’export di ottobre rappresenta dunque un campanello d’allarme per l’economia cinese e per il sistema produttivo internazionale, fortemente interconnesso con le filiere del Paese asiatico. Le prossime settimane saranno decisive per capire se le misure adottate da Pechino riusciranno a stabilizzare i flussi commerciali o se il rallentamento segnerà l’inizio di una fase più prolungata di contrazione del commercio mondiale.

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