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Allarme energia, le fonderie italiane a rischio chiusura: senza interventi strutturali il settore è condannato

Il settore delle fonderie italiane lancia un grido d’allarme che non può essere ignorato: senza misure urgenti sul fronte energetico, molte imprese rischiano la chiusura definitiva nei prossimi mesi. I costi dell’elettricità e del gas, aggravati da una politica industriale giudicata insufficiente e dalla volatilità dei mercati globali, stanno mettendo in ginocchio una delle filiere produttive più strategiche per l’industria manifatturiera nazionale. Secondo l’associazione di categoria Assofond, che rappresenta oltre 1.000 aziende del comparto, l’aumento dei costi energetici ha raggiunto livelli tali da rendere insostenibile la produzione per gran parte delle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni.


Il comparto delle fonderie, che costituisce il cuore della metallurgia italiana, fornisce componenti fondamentali per i settori automotive, meccanico, aerospaziale e dell’energia. Dalle fusioni di ghisa e acciaio alle leghe di alluminio, le fonderie rappresentano un anello cruciale nella catena di fornitura industriale del Paese. Tuttavia, si tratta di un settore altamente energivoro, in cui l’energia incide fino al 40% sui costi di produzione. Le oscillazioni dei prezzi, unite alla mancanza di politiche di compensazione efficaci, hanno reso il quadro economico estremamente fragile. Le imprese denunciano un divario competitivo crescente rispetto ai concorrenti europei, in particolare tedeschi e francesi, che possono contare su tariffe più vantaggiose e su un sostegno statale più consistente.


Negli ultimi mesi, i costi medi dell’energia per le fonderie italiane sono tornati ai livelli di picco registrati nel 2022, quando la crisi geopolitica innescata dalla guerra in Ucraina aveva portato a un’impennata dei prezzi del gas e dell’elettricità. Nonostante il leggero calo dei mercati internazionali, le imprese italiane continuano a pagare tariffe superiori del 30-40% rispetto alla media europea. A ciò si aggiunge la difficoltà di accedere ai meccanismi di compensazione previsti dal piano nazionale per le imprese energivore, giudicati troppo complessi e limitati nel tempo.


Le aziende lamentano anche un ritardo strutturale negli investimenti per la transizione energetica. Molte fonderie non hanno ancora potuto adottare tecnologie più efficienti, come i forni elettrici di nuova generazione o i sistemi di recupero del calore, a causa dei costi elevati e della scarsità di incentivi dedicati. Gli operatori del settore chiedono un piano nazionale specifico per la decarbonizzazione dell’industria metallurgica, con fondi mirati per la riconversione energetica e per l’adozione di soluzioni basate su fonti rinnovabili.


Il presidente di Assofond, Roberto Ariotti, ha sottolineato che la situazione è ormai insostenibile e che, senza un intervento strutturale, “le fonderie italiane rischiano l’estinzione”. L’associazione ha presentato un documento al Ministero delle Imprese e del Made in Italy con una serie di proposte concrete: estensione delle agevolazioni per le imprese energivore, accelerazione sull’autoproduzione da fonti rinnovabili, incentivi fiscali per l’efficienza energetica e meccanismi di tutela contro la volatilità dei prezzi. Ariotti ha ricordato che il comparto impiega oltre 30.000 addetti diretti e genera un fatturato di circa 7 miliardi di euro, rappresentando un patrimonio industriale e tecnologico che non può essere disperso.


Uno dei nodi principali resta l’incertezza normativa. Le imprese segnalano la mancanza di una strategia industriale coerente, capace di conciliare competitività e sostenibilità. I continui cambiamenti nei meccanismi di sostegno, le tempistiche burocratiche e la lentezza nell’attuazione delle misure previste dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima stanno frenando gli investimenti. Molte aziende, di fronte all’aumento dei costi, hanno già ridotto la produzione o sospeso temporaneamente l’attività. Altre, soprattutto nei distretti del Nord, stanno valutando la delocalizzazione verso Paesi dell’Est Europa, dove i costi energetici e fiscali risultano più bassi.


A complicare ulteriormente la situazione interviene la contrazione della domanda interna. L’automotive, principale cliente delle fonderie, attraversa una fase di profonda trasformazione dovuta alla transizione elettrica, che comporta una riduzione della richiesta di componenti in metallo tradizionali. Anche il settore meccanico ha rallentato, risentendo dell’incertezza dei mercati e della diminuzione degli ordini dall’estero. In questo contesto, i margini di profitto delle fonderie si sono drasticamente ridotti, e molte imprese si trovano ora in difficoltà a mantenere i livelli occupazionali.


Gli industriali chiedono che il Governo intervenga con urgenza, non solo con misure temporanee, ma con una politica energetica di lungo periodo che garantisca stabilità e competitività. Tra le richieste più pressanti figurano l’aumento delle quote di energia rinnovabile destinate all’industria, la semplificazione delle procedure per l’installazione di impianti fotovoltaici e la creazione di un fondo permanente per la compensazione dei costi energetici delle imprese ad alta intensità di consumo. Le associazioni di categoria sollecitano anche un maggiore coordinamento a livello europeo, affinché l’Unione definisca un quadro comune per i settori energivori, evitando distorsioni di concorrenza tra i Paesi membri.


Molti osservatori ritengono che la crisi energetica stia mettendo a rischio non solo la sopravvivenza delle singole aziende, ma l’intera filiera metalmeccanica italiana. Le fonderie rappresentano un punto di interconnessione essenziale tra le industrie di base e i settori ad alto valore aggiunto, come quello automobilistico, ferroviario e aerospaziale. La loro scomparsa comporterebbe una perdita di competenze, occupazione e capacità produttiva difficilmente recuperabile. Per questo motivo, Assofond ha chiesto che il comparto venga riconosciuto come “settore strategico nazionale” e inserito tra le priorità del nuovo piano industriale del Paese.


Le imprese del settore guardano con attenzione anche al PNRR, che prevede risorse significative per la transizione verde. Tuttavia, i fondi finora destinati alla metallurgia e ai processi energivori sono stati giudicati insufficienti e dispersivi. Le fonderie chiedono che una parte delle risorse venga riservata a progetti specifici di innovazione tecnologica, come la digitalizzazione dei processi produttivi e l’introduzione di sistemi avanzati di monitoraggio dei consumi energetici.


L’allarme lanciato dalle fonderie italiane è quindi un segnale di emergenza economica e industriale. L’energia è diventata il principale fattore di rischio per la sopravvivenza di un comparto che, nonostante la crisi, continua a rappresentare un pilastro dell’economia manifatturiera italiana. Senza un piano strutturale di intervento e una strategia energetica coerente, il rischio concreto è che nei prossimi anni molte aziende siano costrette a fermarsi, lasciando un vuoto che nessuna politica di sostegno tardiva potrebbe colmare.

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