Arte in crisi: in Italia chiudono gallerie, case d’asta e antiquari. Ecco i numeri di un mercato in difficoltà
- piscitellidaniel
- 25 mar
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Il mercato dell’arte italiano continua a perdere terreno, colpito da una crisi silenziosa ma persistente che ha portato nel 2024 alla riduzione del 2,5% del numero complessivo di imprese attive tra gallerie, case d’asta e antiquari. A registrare questi dati è l’indagine condotta da Arts Economics per la Fondazione Cologni, l’Associazione Antiquari d’Italia e il Comitato Leonardo. Le cifre mostrano una contrazione del settore a livello nazionale, con effetti particolarmente evidenti nei principali poli dell’arte come Milano e Roma.
Il comparto dell’arte in Italia è costituito per l’80% da microimprese, spesso con fatturati inferiori ai 100.000 euro. Secondo i dati disponibili relativi al 2023, su 3.280 imprese censite, ben 2.589 appartengono a questa fascia. Solo 138 operatori si collocano in una fascia di fatturato compresa tra 1 e 50 milioni di euro, a conferma della forte concentrazione della capacità produttiva in un ristretto numero di player di medie dimensioni. Le 25 imprese più grandi del settore generano da sole circa 250 milioni di euro di valore della produzione, con le cinque principali gallerie, Mattia De Luca, MDC, Continua, Lorcan O’Neill e Contini, che guidano la classifica seguite, nel comparto delle aste, da Sotheby’s, Il Ponte, Cambi, Pandolfini, Bolaffi e Finarte.
Nonostante il calo delle imprese attive, il numero degli addetti mostra una sostanziale tenuta, con 5.156 occupati nel 2024, in crescita dell’1,22% rispetto all’anno precedente. Questo dato, però, non nasconde un trend decennale di stagnazione: rispetto a dieci anni fa la variazione è di appena il -0,9%. Le gallerie d’arte sembrano tenere meglio il passo, registrando un incremento del 6% del personale, mentre antiquari (-3,3%) e case d’asta (-0,26%) perdono occupati.
Sul fronte delle forme giuridiche, crescono le società di capitale, in particolare le Srl, passate da 764 a 954 in dieci anni. Parallelamente si riducono le società di persone (da 586 a 426) e le imprese individuali, che segnano un calo del 25%. Questa trasformazione evidenzia un tentativo del settore di strutturarsi maggiormente per affrontare un mercato sempre più competitivo e digitalizzato, ma che risente ancora di mancanze strutturali, a cominciare da un regime IVA poco favorevole rispetto ad altri paesi europei.
Dal punto di vista territoriale, la Lombardia si conferma come la regione con il maggior numero di operatori (666), seguita dalla Toscana (con presenze significative a Firenze, Arezzo, Lucca e Siena) e dal Lazio. Tuttavia, anche nelle regioni leader il segno è negativo: a Milano la contrazione è stata del 3,07%, a Roma del 3,13%. A perdere più posizioni sono state le case d’asta lombarde (-5,77%) e le gallerie (-4,5%), mentre nel Lazio il dato più preoccupante riguarda gli antiquari (-9%), seguiti dalle case d’asta (-5%).
In controtendenza rispetto al trend nazionale, si segnalano segnali di vitalità in città come Bologna, Torino, Firenze, Perugia e Genova, che stanno tentando di espandere il proprio ecosistema artistico. Anche l’Emilia-Romagna, nel complesso, mostra una tenuta migliore rispetto alla media nazionale.
Tra le imprese attive, le gallerie d’arte rappresentano il segmento più dinamico in termini di adattamento: investono in eventi, partecipano a fiere internazionali e si stanno aprendo sempre più al digitale, sia attraverso vendite online sia con strumenti di comunicazione che coinvolgono il pubblico più giovane. Gli antiquari, invece, sembrano scontare maggiormente le trasformazioni dei gusti e dei comportamenti d’acquisto, legati anche a dinamiche generazionali che prediligono il design contemporaneo all’arredo antico.
Il settore chiede da tempo una revisione dell’attuale regime IVA, considerato penalizzante rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Belgio o Germania, dove l’arte gode di aliquote agevolate o regimi fiscali più favorevoli. L’assenza di una politica nazionale di supporto al mercato dell’arte, sia dal punto di vista normativo sia sotto il profilo promozionale, rischia di favorire la delocalizzazione delle imprese e la fuga degli operatori verso mercati più attrattivi. In assenza di interventi mirati, il tessuto imprenditoriale del settore, già fragile e frammentato, rischia di indebolirsi ulteriormente.
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