Procedura d’insolvenza e soci illimitatamente responsabili: la Corte costituzionale abbandona il formalismo
- Luca Baj
- 3 giorni fa
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La Corte costituzionale ha operato una decisa rivisitazione dei principi applicabili nei procedimenti di apertura delle procedure d’insolvenza riguardanti società con soci illimitatamente responsabili, chiarendo che il rispetto del contraddittorio non può essere subordinato a un’interpretazione eccessivamente formalistica delle norme.
La questione riguarda la necessità o meno di coinvolgere i soci illimitatamente responsabili già noti sin dall’avvio del procedimento di apertura dell’insolvenza nei confronti della società. Le disposizioni rilevanti sono gli articoli 147 e 256 della legge fallimentare e del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, i quali stabiliscono che, in presenza di una società con soci illimitatamente responsabili, l’apertura della procedura nei confronti della società comporta l’estensione automatica della stessa ai soci. Tuttavia, viene richiesta l’instaurazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi se già noti.
La Corte costituzionale ha criticato l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, che ha sempre minimizzato l’importanza del contraddittorio in questa fase, ritenendo sufficiente la possibilità per il socio pretermesso di agire successivamente in sede di impugnazione. La Consulta ha invece chiarito che, in assenza della partecipazione del socio noto, la decisione è valida, ma non può produrre nei suoi confronti gli stessi effetti di una sentenza emessa con la sua partecipazione.
Tale impostazione valorizza il principio costituzionale del contraddittorio e della parità delle parti, abbandonando una prassi che rischiava di minare l’effettività della tutela giurisdizionale. La Corte ha ritenuto preferibile che i soci illimitatamente responsabili vengano coinvolti sin dall’inizio, ma ha precisato che la loro eventuale mancata partecipazione non inficia la validità della sentenza di apertura della procedura a carico della società. Tuttavia, tale provvedimento non potrà considerarsi opponibile ai soci pretermessi.
Secondo la Corte, non sussiste litisconsorzio necessario tra la società e i soci illimitatamente responsabili nella fase di apertura della procedura. Questo per evitare indagini infinite sulla conoscenza effettiva della compagine sociale da parte del creditore istante e per prevenire la paralisi del procedimento per la mancata convocazione anche di un solo socio noto.
Allo stesso tempo, si afferma che il socio ha diritto a partecipare al procedimento, e che la sua pretermissione comporta un effetto importante: l’accertamento effettuato con la sua esclusione non gli è opponibile. In sostanza, la sentenza che apre la procedura d’insolvenza nei confronti della società produce effetti solo verso le parti che hanno partecipato al relativo procedimento, conformemente all’art. 2909 c.c., che limita l’efficacia del giudicato alle parti, ai loro eredi o aventi causa.
Il corollario di questa impostazione è che, nel successivo procedimento volto all’apertura “in estensione” della procedura anche nei confronti dei soci, questi potranno contestare nuovamente i presupposti dell’insolvenza della società, con il rischio concreto di decisioni contrastanti. Si tratta del cosiddetto fenomeno del “contrasto pratico tra giudicati”, che la Corte accetta in quanto fisiologico in un sistema che vuole tutelare effettivamente il diritto di difesa.
Per la Consulta, la coesistenza di giudicati differenti tra società e soci non comporta invalidità di uno dei due provvedimenti, bensì rappresenta l’inevitabile conseguenza dell’assenza di effetto di giudicato nei confronti del socio pretermesso. Questa scelta risulta coerente con l’impostazione secondo la quale il giudicato si forma solo nei confronti delle parti processuali, e non verso soggetti che, pur interessati, non hanno potuto esercitare il loro diritto di difesa.
È interessante rilevare come l’apertura della procedura d’insolvenza nei confronti della società implichi lo scioglimento del rapporto sociale sia per le società con che senza personalità giuridica. Ciò comporta effetti diretti anche sui soci: questi, a seguito dell’estensione della procedura, diventano immediatamente destinatari della responsabilità per le obbligazioni sociali, anche in assenza di una sentenza esplicitamente rivolta contro di loro, ma la legittimità di tale automatismo dipende proprio dal rispetto del contraddittorio.
Altro punto nodale affrontato dalla Corte è l’“accertamento incidentale”. Si tratta di un accertamento compiuto dal giudice in una causa, che non è vincolante in altro giudizio. Quando il socio illimitatamente responsabile non è stato parte del procedimento di apertura della procedura verso la società, l’eventuale giudizio successivo a suo carico non sarà vincolato dall’accertamento dei presupposti dell’insolvenza già compiuto: potrà dunque contestare autonomamente la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge.
La Consulta ha anche chiarito che la sentenza emessa con la partecipazione di tutti i soci noti produce una cosa giudicata piena e generale. Al contrario, in caso di sentenza emessa senza coinvolgimento del socio, il giudizio successivo a suo carico non sarà precluso dall’esito del primo giudizio. Questo approccio consente ai soci pretermessi di difendersi in maniera piena, superando il vincolo dei 30 giorni per impugnare la sentenza ex art. 18 l.f., termine che la giurisprudenza riteneva applicabile anche in assenza di regolare convocazione.
L’ultima precisazione, particolarmente significativa, riguarda i casi in cui, pur non formalmente convocato, il socio abbia comunque esercitato il diritto di difesa. Se, ad esempio, ha partecipato al giudizio in qualità di rappresentante legale della società, oppure ha proposto reclamo senza contestare l’accertamento dell’insolvenza, allora non potrà successivamente eccepire la propria esclusione dal primo giudizio. In tal caso, la Corte afferma che il diritto di difesa risulta comunque esercitato, e il giudicato si forma anche nei confronti del socio.
La decisione ribalta dunque il paradigma interpretativo sinora dominante, che tendeva a privilegiare l’efficienza procedurale rispetto alla tutela effettiva del diritto di difesa. L’enfasi posta sull’accertamento incidentale e sui limiti soggettivi del giudicato costituisce una scelta netta a favore della garanzia costituzionale dell’art. 24 Cost., bilanciata dalla consapevolezza della possibilità – e dell’accettabilità – di eventuali contrasti tra giudicati come effetto sistemico inevitabile.
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