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Movimento 5 Stelle al bivio dell’identità: Giuseppe Conte punta all’egemonia del “campo largo”

Il Movimento 5 Stelle si trova oggi a un punto cruciale della sua evoluzione politica e organizzativa, una fase che mette in luce contraddizioni interne e scelte strategiche decisive. Da una parte la leadership di Giuseppe Conte – che intende consolidare la presenza del Movimento all’interno della coalizione progressista e puntare all’egemonia del cosiddetto “campo largo” – dall’altra la base e le anime identitarie del Movimento che avvertono un progressivo distacco dai valori originari e una possibile perdita di indipendenza. Conte ha ribadito con fermezza che il Movimento non è un semplice alleato subalterno del principale partito della coalizione, ma un soggetto autonomo e determinato a giocarsi un ruolo di primo piano, affermando che non accetterà che il Movimento diventi “un cespuglio sotto la quercia” di altri partiti. La sfida politica che intende affrontare è ambiziosa: trasformare il Movimento 5 Stelle in una forza centrale della coalizione di centrosinistra, capace di contare nei processi decisionali e di porsi come alternativa credibile alla destra governativa. Questa ambizione tuttavia si scontra con un doppio registro interno: quello della coesione del partito, oggi alle prese con la ridefinizione statutaria, e quello della rappresentanza elettorale, in una fase in cui il Movimento appare ridimensionato nei consensi e sotto pressione da più fronti.


Il vero nodo è l’identità del Movimento: da un lato chi teme che l’apertura verso alleanze e l’ingresso vigoroso nel “campo largo” possano diluire il patrimonio originario di innovazione, trasparenza e indipendenza; dall’altro chi considera tale apertura un passo inevitabile e necessario per rigenerarsi, uscire dalla marginalità elettorale e incidere effettivamente. La questione delle alleanze assume quindi un carattere soggettivo e di fondo: non più una scelta esclusivamente tattica, ma una riformulazione della missione politica del Movimento. In Toscana, ad esempio, il leader nazionale ha affidato agli iscritti una consultazione online per decidere se sostenere un candidato del centrosinistra o correre da soli, segno che la divisione interna non è solo teorica ma operativa. La posta in gioco è alta: restare fedeli alla linea mossa fino ad oggi oppure accettare una forma più strutturata di collaborazione con il centrosinistra, che però comporta compromessi e rischi sul fronte dell’identità.


In parallelo, Conte ha sottolineato che il Movimento non potrà mai essere un semplice comprimario: “Se entriamo nel campo largo, lo facciamo da protagonisti, con un progetto chiaro, con programmi e azioni, non per semplice opportunismo”. Così si legge nella cornice delle dichiarazioni che eleva il ruolo del Movimento a partner decisivo, non più pedina accessoria. Ma il percorso per giungere a questo obiettivo non è privo di ostacoli. L’immagine del Movimento è stata segnata da risultati elettorali deludenti in alcune regioni, da tensioni interne e dalla critica crescente che le alleanze con i democratici comportino una “svendita” del profilo originario 5 Stelle. Alcuni militanti più fedeli alle radici piangono una perdita di autonomia e avvertono che la graduale adesione a una geometria di coalizione amplia rischi di subalternità, piuttosto che di centralità.


Le modifiche statutarie approvate di recente, che hanno ridefinito ruoli, organi e procedure interne, sono interpretate come parte della strategia di Conte per rafforzare il proprio controllo e guidare la trasformazione del Movimento in partito a tutti gli effetti. Questo processo implica un bivio: continuare come movimento “liquido”, basato su partecipazione diretta e mobilitazione diffusa, oppure diventare forza istituzionale stabile, con alleanze, programmi condivisi e presenza strutturale nella coalizione. Ciò comporta anche una ridefinizione delle relazioni con i partner: se da un lato si ribadisce la collaborazione con il centrosinistra, dall’altro si escludono forme di alleanza con forze come Italia Viva, ritenute incompatibili per storia e identità. L’obiettivo è puntare a una coalizione ampia che vada oltre il semplice accordo elettorale, ma che gli attribuisca un ruolo strategico e negoziale.


Tuttavia, non mancano segnali di malcontento e distacco: figure interne come Chiara Appendino sono emerse come portavoci di una corrente che chiede più autonomia, maggior rispetto per l’identità del Movimento e meno subordinazione al Partito Democratico. La tensione tra la leadership e le correnti interne rischia di generare fratture o scissioni, se non sarà gestita con accortezza, dialogo e riconoscimento delle sensibilità interne. Il confronto sulle nomine interne, sui criteri di alleanza, sulla strategia elettorale e sul rapporto con la base è divenuto un termometro della salute del Movimento, e gli sviluppi delle prossime settimane saranno decisivi per definire la traiettoria futura.


Se il Movimento riuscirà a trasformarsi in forza egemone del campo progressista, potrà aspirare a influire realmente sulle scelte di governo e a proporre un’alternativa coerente alla leadership della destra. Ma questo obiettivo richiede che si costruisca un’identità riconoscibile e una proposta politica che riesca a conciliare autonomia, partecipazione e alleanza. Il rischio opposto, peraltro, è quello di finire per perdere consensi e compattezza se la base percepisce che si sia rinunciato troppo presto al profilo distintivo del Movimento. In questa fase il Movimento 5 Stelle è dunque chiamato a decidere non solo come, ma chi vuole essere nei prossimi anni: un soggetto alleato tra molti oppure un soggetto guida nella coalizione.

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