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Cinema e audiovisivo, allarme occupazione: rischio per decine di migliaia di posti di lavoro tra crisi strutturale e ritardi nei nuovi fondi

Il settore del cinema e dell’audiovisivo italiano attraversa una fase di forte tensione economica e occupazionale. Secondo le più recenti analisi delle associazioni di categoria, sono a rischio decine di migliaia di posti di lavoro a causa della contrazione dei finanziamenti pubblici, dei ritardi nell’attuazione delle nuove misure di sostegno e dell’instabilità produttiva che caratterizza l’intero comparto. Una filiera che impiega oltre 180.000 lavoratori, tra dipendenti diretti, tecnici, maestranze e professionisti, si trova oggi a fronteggiare una crisi complessa che unisce fragilità strutturali e incertezze normative.


Al centro delle preoccupazioni vi è la rimodulazione del Fondo per il cinema e l’audiovisivo, che per il 2026 prevede una significativa riduzione delle risorse rispetto agli anni precedenti. L’impatto è immediato: molte produzioni, in particolare quelle indipendenti, si trovano a dover sospendere i progetti già avviati o a rinviare le riprese, mentre le società più piccole rischiano di uscire dal mercato. Gli incentivi fiscali del tax credit, strumento cardine del sostegno pubblico al settore, risultano ancora in parte bloccati per via dei ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi e nella definizione delle nuove soglie di accesso.


L’interruzione o la riduzione delle attività produttive ha effetti a catena su tutta la filiera. I reparti tecnici – dalle troupe di ripresa agli operatori del suono, dai montatori agli scenografi – sono tra i più esposti. Molti professionisti, lavorando a progetto o con contratti a tempo determinato, rischiano di rimanere senza occupazione per lunghi periodi. Anche le imprese di post-produzione, doppiaggio e servizi digitali segnalano un calo delle commesse, aggravato dalla crescente concorrenza internazionale e dal ricorso, da parte delle major straniere, a studi esteri per motivi di costo.


Il rallentamento non riguarda solo il cinema tradizionale, ma anche il settore delle serie televisive e delle produzioni streaming, che negli ultimi anni aveva trainato la crescita occupazionale. Dopo un decennio di espansione alimentata dagli investimenti delle piattaforme globali, il 2025 ha segnato una fase di contrazione. Le produzioni originali italiane sono diminuite del 20% rispetto all’anno precedente, e molti progetti sono stati ridimensionati per effetto dell’incertezza normativa e della riduzione dei fondi di co-produzione. Le grandi piattaforme internazionali hanno rivisto le strategie di investimento, spostando parte delle risorse verso mercati con incentivi fiscali più vantaggiosi.


L’Italia rischia così di perdere competitività in un settore che negli ultimi anni aveva raggiunto un importante riconoscimento internazionale. I dati elaborati dalle associazioni di produttori mostrano come il nostro Paese avesse conquistato una posizione di rilievo nel panorama europeo, con una crescita costante delle opere riconosciute di interesse culturale e una forte espansione dei mercati esteri. La combinazione di risorse pubbliche, professionalità tecniche e location di qualità aveva reso l’Italia una destinazione attrattiva per le produzioni internazionali. Oggi, tuttavia, questa posizione appare compromessa se non verrà garantita una stabilità strutturale nei finanziamenti e una maggiore efficienza nella gestione degli incentivi.


Il problema si intreccia anche con quello della precarietà contrattuale, un tema che da anni caratterizza il mondo dello spettacolo. La maggioranza dei lavoratori del settore opera con rapporti intermittenti, legati alla durata delle produzioni, e in assenza di continuità previdenziale. La mancata approvazione definitiva dei decreti sul lavoro autonomo e parasubordinato nel comparto audiovisivo sta aggravando la situazione, lasciando migliaia di professionisti senza tutele certe. Le associazioni sindacali chiedono un intervento urgente per estendere gli ammortizzatori sociali e garantire forme di sostegno nei periodi di inattività.


Sul fronte imprenditoriale, anche le società di produzione indipendenti lanciano l’allarme. La diminuzione dei contributi pubblici e la complessità burocratica nell’accesso ai fondi mettono a rischio la sopravvivenza di molte realtà medio-piccole, che rappresentano il cuore creativo del cinema italiano. Queste imprese sono spesso quelle che investono nei talenti emergenti, nella sperimentazione e nel cinema d’autore, settori fondamentali per la diversità culturale ma economicamente più fragili. L’incertezza sulla disponibilità delle risorse pubbliche ha portato a un congelamento degli investimenti e a un rallentamento significativo delle produzioni.


Anche le sale cinematografiche, già provate dalla pandemia e dalla concorrenza delle piattaforme digitali, si trovano a fronteggiare un calo di nuovi titoli italiani in uscita. La mancanza di produzioni nazionali di richiamo si traduce in un indebolimento della filiera distributiva e in un minore afflusso di pubblico. Il rischio, secondo le associazioni degli esercenti, è di alimentare un circolo vizioso: meno film italiani in sala significa meno incassi, meno risorse per i produttori e un’ulteriore dipendenza dai contenuti esteri.


Il tema della formazione rappresenta un ulteriore punto critico. Le scuole di cinema e gli istituti professionali lamentano la difficoltà di collocare gli studenti in un mercato del lavoro sempre più instabile. La mancanza di prospettive rischia di allontanare i giovani dalle professioni creative e tecniche legate all’audiovisivo, compromettendo il futuro del comparto. Anche la digitalizzazione, pur offrendo nuove opportunità di produzione e distribuzione, non è ancora pienamente sfruttata per creare occupazione stabile. Molte start-up del settore tecnologico applicato al cinema faticano a emergere per carenza di fondi e di coordinamento con le politiche culturali nazionali.


Le richieste degli operatori convergono su tre priorità: stabilità normativa, continuità dei finanziamenti e riforma strutturale degli strumenti di sostegno. Il modello del tax credit, riconosciuto come uno dei più efficaci a livello europeo, necessita di una revisione che garantisca tempi certi di erogazione e semplificazione delle procedure. Inoltre, si chiede di valorizzare il ruolo dei fondi regionali e delle film commission, che in molte aree del Paese hanno dimostrato di poter attrarre produzioni e generare occupazione qualificata.


La crisi attuale del cinema e dell’audiovisivo non riguarda solo il numero delle produzioni o la quantità di risorse investite, ma mette in discussione l’intero equilibrio di una filiera che contribuisce in modo determinante alla cultura e all’economia del Paese. Con un impatto diretto sul PIL di oltre 4 miliardi di euro l’anno e un ruolo strategico per la promozione dell’immagine dell’Italia all’estero, il comparto audiovisivo rappresenta un patrimonio da preservare con politiche industriali, fiscali e formative coordinate. Senza interventi tempestivi e una visione di lungo periodo, il rischio concreto è la dispersione di competenze, professionalità e creatività che hanno reso il cinema italiano un marchio di eccellenza riconosciuto nel mondo.

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