Tregua in bilico a Gaza: a Gerusalemme arrivano gli emissari Usa Witkoff, Kushner e Vance per incontrare Netanyahu
- piscitellidaniel
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La fragile tregua nella Striscia di Gaza si trova nuovamente in una fase critica, segnata da una serie di eventi che ne mettono a rischio la tenuta e richiedono un intervento diplomatico d’urgenza. In Israele sono arrivati oggi due figure chiave degli Stati Uniti: Steve Witkoff, inviato speciale per il Medio Oriente, e Jared Kushner, già consigliere presidenziale. A loro si aggiungerà domani il vicepresidente americano J.D. Vance. Il motivo della missione è chiaro: incontrare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e altri vertici dello Stato ebraico per discutere dei termini della tregua, della gestione della Striscia e della ripresa degli aiuti umanitari.
Il contesto in cui si inserisce questo passo diplomatico è segnato da tensioni e violenze recenti. Dopo l’attuazione di un cessate il fuoco, le parti hanno registrato violazioni e attacchi che ne minacciano la stabilità. Secondo fonti locali, almeno due soldati israeliani sono rimasti uccisi in un’esplosione nella zona di Rafah, attribuita da Israele a operazioni della Hamas. In risposta, i bombardamenti israeliani hanno provocato decine di vittime palestinesi, alimentando il clima di instabilità e rendendo il cessate il fuoco vulnerabile. I media riportano che i valichi per l’ingresso degli aiuti umanitari, come quello di Kerem Shalom, sono stati temporaneamente chiusi, poi riaperti, ma la distribuzione continua a essere rallentata e ostacolata.
L’arrivo di Witkoff e Kushner – e presto di Vance – sottolinea l’importanza che l’Amministrazione USA attribuisce alla situazione: questi esponenti sono stati incaricati di verificare il rispetto degli impegni, stimolare le parti a mantenere la calma e promuovere la fase successiva della pianificazione. La visita di Vance domani appare particolarmente cruciale: il vicepresidente è atteso per discutere non solo del cessate il fuoco attuale, ma del progetto più ampio di stabilizzazione nella Striscia e della definizione delle modalità operative del quadro concordato.
Durante i colloqui con Netanyahu e con altri rappresentanti israeliani, gli emissari americani affronteranno nodi complessi. Uno riguarda la definizione esatta dei limiti operativi dell’esercito israeliano nella Striscia e la durata della presenza sul terreno. Un secondo riguarda il rilascio degli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia e la liberazione dei prigionieri palestinesi, tema sensibile e centrale nelle trattative. Un terzo, fondamentale, concerne l’accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari, la ripresa della vita civile a Gaza e il ruolo che le autorità locali e internazionali dovranno assumere.
La pressione geopolitica è elevata: Israele vuole mantenere il controllo su questioni fondamentali della sicurezza e della politica nella Striscia, mentre la comunità internazionale spinge per una riduzione dell’uso della forza e una normalizzazione della vita civile a Gaza. Le istituzioni americane sottolineano che il mantenimento della tregua sarà «complicato», dato che sono previste fasi in cui la tensione potrà riaccendersi e la ripresa degli scontri resta una minaccia tangibile. Le dichiarazioni diffuse indicano che gli Usa sono consapevoli del rischio di un rapido deterioramento dell’accordo se uno dei due fronti dovesse percepire un vantaggio unilaterale.
Sul versante palestinese, la Striscia rimane in condizioni critiche: la distruzione infrastrutturale è estesa, i civili vivono in condizioni difficili, l’accesso agli aiuti è irregolare e la fiducia nel cessate il fuoco è fragile. La gestione della fase post-conflitto appare complicata: oltre alla supervisione dei movimenti militari e al rilascio degli ostaggi, occorrerà definire chi eserciterà il potere civile nella Striscia, quale sarà il ruolo di Hamas e quale quello delle forze internazionali o di stabilizzazione.
Dal canto israeliano, Netanyahu e il suo governo affrontano una doppia pressione: interna, da parte di forze che chiedono una linea dura nei confronti di Hamas e ritengono la tregua una parte della strategia di guerra, ed esterna, dalla comunità internazionale, che richiede trasparenza, rispetto dei diritti umani e apertura all’assistenza. Il governo israeliano ha comunque approvato il cambio di denominazione delle operazioni in corso nella Striscia in «Guerra di Resurrezione», un passaggio simbolico che ha suscitato attenzione perché segnala un approccio ancora bellicoso.
L’operazione diplomatico-militare sulla Striscia di Gaza costituisce un banco di prova per il nuovo corso della politica mediorientale degli Stati Uniti e per la solidità della tregua. La presenza di emissari di alto livello, l’urgenza degli incontri, le aspettative di una svolta e al tempo stesso la fragilità dell’accordo rendono l’evoluzione del quadro regionale estremamente incerta. I prossimi giorni saranno decisivi per stabilire se il cessate il fuoco potrà consolidarsi oppure se le operazioni militari riprenderanno su larga scala. I tre inviati americani entreranno quindi nel vivo di un negoziato che combina questioni strategiche, umanitarie e politiche, cercando di dare sostanza a un accordo finora più formale che pratico.
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