Motivazione per relationem e autonomia valutativa nelle sentenze tributarie connesse
- Luca Baj

- 21 ago
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Nel giudizio tributario, la redazione della motivazione assume un ruolo centrale nell’assicurare la coerenza del ragionamento giuridico e la comprensibilità della decisione. Quando il giudice si trova a dover pronunciare sentenze simultanee su cause tra loro connesse da un rapporto di pregiudizialità o di consequenzialità necessaria, può ricorrere alla tecnica della motivazione per relationem, cioè al rinvio ad altra sentenza emessa nel medesimo contesto. Tale tecnica, tuttavia, non è esente da limiti strutturali e funzionali, che ne condizionano la validità.
Il caso in esame riguarda due pronunce coeve: una riguardante la pretesa impositiva connessa al reddito da capitale derivante da fondi esteri non dichiarati e l’altra concernente le sanzioni amministrative per omessa indicazione in dichiarazione dei suddetti redditi. L’organo giudicante ha deciso le due controversie contestualmente, risolvendo quella principale con un annullamento della pretesa tributaria e richiamando tale decisione nella seconda sentenza riguardante le sanzioni, con la formula secondo cui “il reddito del socio deve seguire quello societario che è stato annullato”.
La questione centrale è se una motivazione redatta in questi termini possa ritenersi conforme ai canoni di adeguatezza e logicità imposti dall’ordinamento. Il principio generale è che il rinvio a una motivazione contenuta in altra sentenza può ritenersi legittimo, a condizione che non si traduca in un semplice richiamo formale, ma che la parte mutuata venga trasfusa nel nuovo provvedimento attraverso una autonoma e coerente elaborazione critica.
Ciò implica che il contenuto motivazionale richiamato non debba limitarsi alla menzione della sentenza da cui si attinge, ma vada espressamente riportato, reinterpretato e inserito in modo funzionale nel contesto del nuovo provvedimento, tale da permettere al lettore – e al giudice del gravame – di seguire il percorso logico che ha condotto alla decisione. Il rinvio per relationem, in assenza di tale rielaborazione, si traduce in una forma di vuoto motivazionale, equivalente a un’omessa pronuncia in violazione degli articoli 36, comma 2, del D.Lgs. 546/1992 e 132, n. 4), c.p.c.
La valutazione critica della motivazione mutuata rappresenta un elemento dirimente. Anche se i procedimenti trattati siano legati da un nesso pregiudiziale oggettivo, ogni giudizio conserva la propria autonomia logica e argomentativa. Il giudice deve dare conto non solo del perché ritiene condivisibile la pronuncia richiamata, ma anche del modo in cui tale ragionamento si innesta coerentemente nella fattispecie in esame. L’adesione al contenuto motivazionale di un’altra sentenza non può mai essere acritica o meramente assertiva.
Nel caso specifico, l’omessa trasposizione delle ragioni poste a base dell’annullamento della pretesa fiscale nella sentenza concernente le sanzioni determina un deficit di motivazione. Non è sufficiente affermare che “il reddito del socio segue quello societario annullato” senza esplicitare i presupposti logico-giuridici dell’annullamento e senza verificare se e in quale misura essi siano rilevanti e traslabili alla distinta questione sanzionatoria.
L’efficacia del rapporto di pregiudizialità tra due giudizi non comporta, di per sé, che la decisione assunta nel primo vincoli automaticamente l’esito del secondo. Ogni controversia richiede un vaglio autonomo della propria materia del contendere, anche quando la stessa risulti, nella sostanza, condizionata dalla sorte dell’altro processo. La motivazione per relationem è compatibile con questo principio solo se consente di ricostruire con chiarezza la concatenazione logico-giuridica tra le due pronunce.
L’invalidità della motivazione emerge quando questa si riduce a una formula stereotipata priva di contenuto valutativo, incapace di restituire al lettore la consapevolezza delle ragioni del decidere. In tali ipotesi, si configura un vizio rilevante ai fini dell’annullamento in sede di legittimità, stante la lesione del diritto della parte a una pronuncia giurisdizionale comprensibile e giustificata.
È solo attraverso un uso consapevole della motivazione per relationem, accompagnato da una verifica effettiva della compatibilità logica e giuridica del contenuto richiamato, che tale strumento può dirsi conforme ai parametri costituzionali e processuali che presidiano il giusto processo e la funzione nomofilattica della giurisdizione. L’efficienza non può sostituirsi alla razionalità dell’argomentazione. La trasparenza logica della motivazione rimane un presidio essenziale della funzione giurisdizionale.




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