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Gaza, Hamas restituisce il corpo di un militare israeliano in cambio di quindici palestinesi: nuovo scambio sotto la mediazione egiziana e qatariota

Nella Striscia di Gaza si è svolto uno scambio di corpi che riporta al centro della scena diplomatica i negoziati indiretti tra Israele e Hamas, in un momento di crescente tensione e di impasse politico-militare. Il gruppo palestinese ha consegnato alle autorità israeliane il corpo di un soldato dell’IDF, caduto durante i combattimenti nelle scorse settimane, ricevendo in cambio i resti di quindici cittadini palestinesi, tra cui miliziani e civili rimasti uccisi nei bombardamenti israeliani. L’operazione, mediata da Egitto e Qatar, è stata condotta con la massima riservatezza e rappresenta uno dei pochi atti di cooperazione tra le parti dall’inizio della nuova fase del conflitto.


Secondo fonti diplomatiche del Cairo, lo scambio è avvenuto in un punto di passaggio controllato tra la parte meridionale della Striscia e il confine israeliano, con la supervisione della Mezzaluna Rossa e del Comitato Internazionale della Croce Rossa. L’accordo è stato il frutto di giorni di contatti discreti, che hanno coinvolto funzionari egiziani, mediatori qatarioti e ufficiali delle forze di sicurezza israeliane. Il corpo del militare israeliano, identificato come un sergente dell’unità Golani, era stato trattenuto da Hamas dopo uno scontro a Khan Yunis. Secondo le autorità di Tel Aviv, il recupero del corpo rappresenta un “atto di umanità in un contesto di brutalità”, ma non modifica la linea politica nei confronti dell’organizzazione palestinese, considerata ancora un gruppo terroristico.


Per Hamas, lo scambio ha un valore simbolico e politico. Fonti vicine al movimento sostengono che la restituzione dei corpi palestinesi rafforza la propria immagine interna come difensore della dignità nazionale e dei martiri della resistenza. Il portavoce del gruppo, Abdel Latif al-Qanoua, ha dichiarato che “la restituzione dei nostri figli non è una concessione ma un diritto”, aggiungendo che il gesto israeliano è stato ottenuto “attraverso la determinazione e la forza del popolo palestinese”. La propaganda del movimento ha immediatamente rilanciato l’episodio come una vittoria morale, sottolineando il ruolo delle brigate al-Qassam nell’imporre a Israele il riconoscimento dei propri caduti.


L’operazione è stata accompagnata da un forte dispiegamento di forze nella zona di Rafah, dove centinaia di persone si sono radunate per accogliere i corpi restituiti. Le autorità di Hamas hanno organizzato cerimonie funebri pubbliche, presentandole come un tributo alla “resistenza e al sacrificio del popolo palestinese”. Secondo gli osservatori internazionali, il movimento ha utilizzato lo scambio per consolidare il proprio consenso interno in un momento di crescente malcontento tra la popolazione civile, stremata dai bombardamenti, dalle carenze alimentari e dalla distruzione delle infrastrutture.


Dal lato israeliano, la restituzione del corpo del militare ha riportato alla luce la delicata questione dei soldati e dei civili trattenuti o dispersi a Gaza. Il governo di Tel Aviv considera prioritario il recupero di tutti i prigionieri e dei resti dei militari caduti, ma la trattativa con Hamas rimane complessa, aggravata dall’assenza di contatti diretti e dal ruolo intermediario dei mediatori regionali. Negli ultimi mesi, le famiglie dei soldati scomparsi hanno intensificato le pressioni sull’esecutivo, chiedendo un’azione più incisiva per ottenere informazioni sui loro cari. Lo scambio di oggi, seppur limitato, viene visto da alcuni analisti come un segnale di possibile riapertura dei canali umanitari.


L’Egitto, che continua a svolgere un ruolo centrale nella mediazione tra le parti, ha presentato lo scambio come un gesto di fiducia utile a riavviare il dialogo su questioni più ampie, tra cui la tregua temporanea e la gestione degli aiuti umanitari. Secondo ambienti diplomatici del Cairo, l’obiettivo è creare un clima favorevole alla ripresa delle trattative indirette per un cessate il fuoco prolungato, tema che resta però ostacolato dalla divergenza di posizioni tra Israele e Hamas. Tel Aviv insiste sul disarmo parziale delle milizie palestinesi come condizione preliminare, mentre il movimento islamista chiede il ritiro delle truppe israeliane dal nord della Striscia e la riapertura dei valichi.


Anche il Qatar ha contribuito alla riuscita dell’operazione, confermando il proprio ruolo di mediatore attivo nella crisi di Gaza. Doha, che ospita la leadership politica di Hamas, ha facilitato le comunicazioni tra le parti e ha garantito il coordinamento logistico attraverso la Croce Rossa. Fonti vicine all’emirato sottolineano che l’obiettivo resta quello di mantenere aperto un canale di contatto stabile, capace di gestire sia le emergenze umanitarie sia le questioni più politiche, come gli scambi di prigionieri e la distribuzione degli aiuti.


L’episodio si inserisce in un quadro di forte instabilità nella Striscia, dove le operazioni militari israeliane proseguono, seppur con intensità variabile. Nelle ultime settimane, l’esercito israeliano ha concentrato gli attacchi nel corridoio di Netzarim e nell’area di Khan Yunis, con l’obiettivo dichiarato di neutralizzare le ultime postazioni di Hamas e di impedire la ricostruzione delle sue reti logistiche. Al contempo, la situazione umanitaria continua a peggiorare: le agenzie delle Nazioni Unite segnalano che oltre un milione e mezzo di persone risultano sfollate, con gravi carenze di cibo, acqua e forniture mediche.


La Croce Rossa ha accolto con favore l’accordo, definendolo un passo minimo ma significativo verso il rispetto del diritto umanitario. L’organizzazione ha ribadito la necessità di garantire accesso ai feriti e protezione per il personale medico, ricordando che la restituzione dei corpi dei caduti è un obbligo sancito dalle convenzioni internazionali. Tuttavia, il timore è che l’episodio rimanga un caso isolato, privo di ricadute politiche sostanziali. Le dinamiche del conflitto, infatti, restano dominate dalla logica militare e dalla mancanza di fiducia reciproca.


A Gerusalemme, la notizia dello scambio ha suscitato reazioni contrastanti. Il governo ha parlato di un risultato umanitario, ma ha ribadito che non intende cedere a richieste politiche di Hamas. I partiti dell’opposizione hanno invece criticato la gestione del dossier sugli ostaggi, accusando l’esecutivo di mancare di una strategia coerente per il ritorno dei prigionieri israeliani e per la gestione del conflitto nella Striscia. Nella società israeliana, il tema dei caduti e dei dispersi continua a rappresentare una ferita aperta, capace di unire e dividere l’opinione pubblica allo stesso tempo.


Lo scambio tra Hamas e Israele, pur limitato nelle dimensioni, assume quindi un significato che va oltre il valore materiale dell’operazione. È un segnale di comunicazione indiretta tra due nemici storici, mediata da attori regionali che cercano di contenere una crisi ormai fuori controllo. In un contesto dove ogni gesto è carico di implicazioni politiche, la restituzione dei corpi diventa un atto dal forte impatto simbolico, che evidenzia la fragilità degli equilibri e la distanza ancora enorme da una soluzione duratura del conflitto.

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