Corre il deficit della Germania con la Cina: la locomotiva europea perde terreno sull’export mentre cresce la dipendenza dalle importazioni asiatiche
- piscitellidaniel
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Il tradizionale equilibrio commerciale tra Germania e Cina si è rovesciato. Secondo i dati aggiornati dell’Ufficio federale di statistica tedesco, Berlino ha registrato nel 2024 un deficit commerciale con Pechino di oltre 90 miliardi di euro, il valore più alto mai raggiunto nella storia dei rapporti tra i due Paesi. La Germania, per decenni considerata la potenza esportatrice d’Europa e partner privilegiato della Cina, sta oggi affrontando un cambiamento strutturale nel proprio modello economico. Il peso crescente delle importazioni, soprattutto nei settori tecnologici e delle materie prime, unito alla perdita di competitività dell’industria tedesca, sta ridisegnando gli equilibri commerciali globali e aprendo un dibattito interno sulle strategie economiche del futuro.
L’aumento del deficit è legato a una combinazione di fattori: la debolezza della domanda internazionale, il rallentamento della produzione manifatturiera tedesca e la crescente dipendenza dalle importazioni cinesi di componenti elettronici, batterie e prodotti legati alla transizione energetica. Nel solo settore automobilistico, la Germania ha visto ridursi del 25% le esportazioni verso la Cina, mentre le importazioni di veicoli elettrici e batterie prodotte da aziende cinesi come BYD e CATL sono aumentate di oltre il 40%. La penetrazione dei produttori asiatici nel mercato europeo ha messo sotto pressione le case tedesche, costrette a rivedere strategie, investimenti e catene di approvvigionamento.
Anche il comparto della meccanica e della chimica, storicamente trainanti per l’export tedesco, mostra segnali di indebolimento. Le imprese del Mittelstand, cuore dell’industria manifatturiera nazionale, soffrono per l’aumento dei costi energetici e per la concorrenza dei produttori asiatici, capaci di offrire tecnologie a prezzi più competitivi. Le esportazioni tedesche di macchinari verso la Cina sono calate del 12% nel 2024, mentre l’import di prodotti intermedi e componenti industriali cinesi è cresciuto del 18%. Un divario che riflette la nuova gerarchia economica tra Europa e Asia, con Pechino che si consolida come hub tecnologico globale e la Germania che fatica a mantenere la propria leadership industriale.
Gli analisti economici individuano in questa inversione di tendenza un segnale strutturale più che congiunturale. La Cina, che un tempo rappresentava per Berlino un mercato in espansione per beni di alta qualità – dalle automobili agli impianti industriali – è oggi sempre più un concorrente diretto. La politica industriale di Pechino, centrata sull’autosufficienza tecnologica e sull’espansione dei propri campioni nazionali, ha ridotto lo spazio per le esportazioni tedesche, mentre il governo di Xi Jinping ha sostenuto con sussidi massicci la crescita dei settori chiave, come quello dei semiconduttori, delle energie rinnovabili e dell’automotive elettrico.
La dipendenza tedesca dalle forniture cinesi di materie prime critiche, come litio, terre rare e pannelli solari, rappresenta un ulteriore elemento di vulnerabilità. Con la transizione energetica in pieno corso, la Germania si trova vincolata a importazioni essenziali per il proprio piano di decarbonizzazione. Le industrie del solare e dell’eolico dipendono in larga misura da componenti prodotti in Cina, che controlla oltre il 70% della catena globale di fornitura. Questa situazione ha sollevato preoccupazioni a Berlino e a Bruxelles, dove cresce la consapevolezza che la sovrapposizione tra commercio e sicurezza strategica richiede una revisione delle politiche industriali.
Il governo tedesco ha annunciato un piano per diversificare le fonti di approvvigionamento e ridurre la dipendenza economica da Pechino. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha sottolineato la necessità di una “strategia di de-risking”, basata sul rafforzamento delle partnership commerciali con altri Paesi asiatici come India, Vietnam e Corea del Sud, oltre che con le economie emergenti dell’Africa e dell’America Latina. Tuttavia, gli effetti di tali misure non saranno immediati. L’intreccio tra le filiere tedesche e cinesi è ormai profondo: molte aziende tedesche, tra cui Siemens, Volkswagen e BASF, hanno stabilimenti produttivi in Cina che riforniscono il mercato interno e quello globale.
La situazione ha anche implicazioni politiche. All’interno dell’Unione Europea, la Germania si trova in una posizione delicata: da un lato, è chiamata a sostenere la linea di Bruxelles sulla riduzione delle dipendenze strategiche da Pechino; dall’altro, deve proteggere gli interessi delle proprie imprese, che ancora vedono nel mercato cinese un bacino fondamentale per la crescita. La recente decisione dell’UE di introdurre dazi sui veicoli elettrici cinesi ha accentuato le tensioni, con Berlino che si è mostrata cauta, temendo ritorsioni commerciali e un’ulteriore escalation nelle relazioni economiche.
Sul piano interno, il dibattito è sempre più acceso. Gli industriali tedeschi chiedono un piano di sostegno agli investimenti e una riduzione dei costi energetici per recuperare competitività. L’associazione BDI (Bundesverband der Deutschen Industrie) ha avvertito che senza un intervento strutturale il deficit commerciale con la Cina potrebbe superare i 100 miliardi di euro nel 2025, minacciando la tenuta di interi comparti produttivi. Le imprese chiedono incentivi per l’innovazione, sgravi fiscali per la ricerca e una politica energetica più stabile, elementi ritenuti indispensabili per affrontare la concorrenza asiatica.
Anche la Bundesbank ha espresso preoccupazione per l’impatto del deficit sul bilancio commerciale complessivo del Paese, che per la prima volta da vent’anni registra un rallentamento significativo dell’avanzo. La Germania, da sempre motore economico dell’Europa, sta sperimentando gli effetti di un modello industriale messo alla prova dalla globalizzazione digitale e dalle nuove dinamiche geopolitiche. Il rallentamento della Cina, unito alla perdita di centralità della manifattura europea, evidenzia la necessità di un ripensamento strategico dell’economia tedesca, chiamata a reinventarsi in un contesto dominato da innovazione tecnologica, autonomia energetica e concorrenza globale.
Il crescente squilibrio commerciale con Pechino diventa così un termometro della transizione in corso. L’era del surplus costante e della crescita trainata dall’export verso la Cina sembra ormai conclusa. Per la Germania, il futuro passa attraverso una nuova politica industriale europea che punti su innovazione, sostenibilità e indipendenza tecnologica. Il deficit con la Cina, oggi percepito come una sfida economica, si configura in realtà come il segnale più chiaro della necessità di adattare la locomotiva tedesca al nuovo ordine economico mondiale, dove il baricentro si sposta sempre più verso Est.

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