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Economia italiana: ripresa fragile tra export in affanno e consumi stagnanti

L’economia italiana si trova nel 2025 a un bivio cruciale. Dopo la fase di rimbalzo post-pandemico, la crescita ha rallentato bruscamente, risentendo di fattori interni ed esterni. Il PIL, secondo le ultime stime del MEF, è previsto crescere di appena lo 0,6% su base annua, in un contesto europeo segnato da stretta monetaria, tensioni geopolitiche e rallentamento globale.

I consumi delle famiglie, colpiti dall’inflazione persistente e dalla perdita del potere d’acquisto, non riescono a trainare la domanda interna. Nonostante il parziale rientro dei prezzi energetici, l’erosione dei redditi reali continua a incidere sul tenore di vita. Il risparmio precauzionale aumenta, mentre il credito al consumo rallenta, penalizzato dall’alto costo del denaro.

L’export, tradizionale motore della crescita italiana, ha mostrato segnali di affanno. La Germania, primo partner commerciale, è in stagnazione, mentre la domanda cinese resta volatile. L’agroalimentare e il lusso tengono, ma la meccanica strumentale e l’automotive faticano a reggere la concorrenza extra-europea. Il surplus commerciale si riduce, aggravando la dipendenza dalla domanda interna.

La produzione industriale è in flessione in diversi comparti, in particolare nel tessile, nella siderurgia e nella cantieristica. Le imprese, schiacciate da alti costi di finanziamento e incertezza normativa, posticipano investimenti e rallentano i piani di espansione. L’effetto combinato di stretta creditizia e fragilità della domanda comprime i margini e frena la propensione al rischio.

Il PNRR resta un fattore chiave, ma la sua efficacia è frenata da ritardi attuativi e da una governance ancora farraginosa. Le risorse stanziate per la digitalizzazione, la transizione ecologica e la coesione territoriale rischiano di produrre impatti modesti se non accompagnate da una visione industriale di lungo periodo.

Il divario Nord-Sud si acuisce: mentre il Centro-Nord regge grazie all’export e ai distretti produttivi, il Mezzogiorno arretra in quasi tutti gli indicatori, aggravando l’emorragia demografica e occupazionale. Senza un riequilibrio strutturale degli investimenti pubblici, il dualismo economico nazionale si trasformerà in una frattura irreversibile.

Infine, l’incertezza politica e l’instabilità normativa contribuiscono a scoraggiare investimenti esteri. L’Italia appare ancora priva di una politica industriale coerente, capace di attrarre capitali produttivi e sostenere la competitività delle imprese.

In sintesi, l’economia italiana procede su un crinale sottile, esposta a shock esogeni e zavorrata da nodi interni irrisolti. La ripresa c’è, ma è diseguale, fragile e priva di slancio. Occorre un cambio di paradigma, che metta al centro innovazione, capitale umano e riequilibrio territoriale, per restituire al sistema-Paese una traiettoria di crescita stabile e inclusiva.

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