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Piano Usa per Gaza: secondo il Wall Street Journal gli Stati Uniti valutano una divisione in due aree sotto controllo israeliano e di Hamas

Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, l’amministrazione americana starebbe valutando un piano per la gestione della Striscia di Gaza che prevede una divisione temporanea del territorio in due zone distinte: una sotto il controllo diretto di Israele e l’altra amministrata da autorità locali legate ad Hamas. L’obiettivo sarebbe quello di creare un equilibrio provvisorio di sicurezza e governance che permetta di contenere le ostilità, stabilizzare la regione e garantire l’accesso umanitario, in attesa di un accordo politico più ampio. La notizia, diffusa da fonti diplomatiche e confermata da ambienti vicini alla Casa Bianca, ha suscitato immediate reazioni internazionali, riaprendo il dibattito sulla sostenibilità di un modello di gestione duale del territorio.


Il piano, che si troverebbe ancora in fase di valutazione, sarebbe parte di una più ampia strategia americana volta a evitare un nuovo conflitto su larga scala tra Israele e Hamas, garantendo al tempo stesso la sicurezza dei confini israeliani e la sopravvivenza della popolazione civile palestinese. Secondo le prime ipotesi, la zona settentrionale di Gaza, devastata dalle recenti operazioni militari, verrebbe posta sotto il controllo militare e amministrativo israeliano, mentre la parte meridionale rimarrebbe gestita da strutture locali coordinate con Hamas ma soggette a un monitoraggio internazionale. Questo assetto, nelle intenzioni di Washington, dovrebbe consentire una graduale riduzione delle tensioni e la creazione di corridoi umanitari controllati.


Le fonti diplomatiche che avrebbero illustrato il progetto al giornale americano sottolineano che si tratterebbe di una soluzione transitoria, non di una ridefinizione permanente dei confini o delle sovranità. Gli Stati Uniti sarebbero infatti impegnati a mediare un cessate il fuoco stabile e a costruire le premesse per un processo politico di lungo periodo, che coinvolgerebbe non solo Israele e Hamas, ma anche l’Autorità Nazionale Palestinese, l’Egitto e i principali attori regionali. Tuttavia, il semplice riferimento a una “divisione amministrativa” di Gaza ha riacceso le tensioni, soprattutto tra i leader palestinesi, che temono una cristallizzazione di fatto di un territorio frammentato e privo di una prospettiva di sovranità unitaria.


Dal punto di vista strategico, l’amministrazione americana cerca un equilibrio difficile tra esigenze di sicurezza e considerazioni politiche. Il controllo israeliano di parte della Striscia verrebbe giustificato come misura temporanea per impedire il riarmo di Hamas e garantire la neutralizzazione delle infrastrutture militari sotterranee. D’altra parte, la presenza di un’amministrazione locale nella zona sud sarebbe funzionale a mantenere una parvenza di autonomia e a ridurre il rischio di una crisi umanitaria totale. La supervisione internazionale, probabilmente affidata a una combinazione di osservatori delle Nazioni Unite e mediatori regionali, rappresenterebbe l’elemento di equilibrio del piano.


L’ipotesi ha però sollevato perplessità anche tra gli alleati degli Stati Uniti. Alcuni Paesi europei temono che la proposta possa legittimare una forma di spartizione del territorio che comprometterebbe definitivamente la prospettiva della soluzione dei due Stati, considerata dalla comunità internazionale l’unico sbocco sostenibile al conflitto israelo-palestinese. Le diplomazie di Egitto, Qatar e Giordania, coinvolte nei canali di mediazione, avrebbero espresso preoccupazione per il rischio di consolidare un modello di occupazione mascherata da piano di sicurezza, capace di rendere ancora più fragile la già precaria struttura politica palestinese.


Israele, pur non commentando ufficialmente le indiscrezioni, mantiene una posizione di prudente apertura, consapevole che la gestione diretta dell’intera Striscia comporterebbe costi militari e umanitari insostenibili. Alcuni membri del governo israeliano vedono nel piano americano una possibile soluzione temporanea per consolidare i risultati delle operazioni militari senza assumersi la piena responsabilità amministrativa di Gaza. Tuttavia, i partiti più conservatori chiedono garanzie chiare sul mantenimento del controllo delle frontiere e sul disarmo totale delle milizie di Hamas, condizioni che al momento sembrano difficilmente realizzabili.


Dalla parte palestinese, la reazione è stata durissima. Esponenti di Hamas hanno definito il piano un tentativo di “istituzionalizzare l’occupazione israeliana” e di “dividere definitivamente il popolo palestinese”. Anche l’Autorità Nazionale Palestinese ha espresso forte contrarietà, affermando che qualsiasi proposta che non preveda il ripristino di un’autorità unitaria su Gaza e Cisgiordania rappresenta una violazione del diritto internazionale. Le organizzazioni umanitarie, nel frattempo, avvertono che la situazione sul campo resta critica: la carenza di infrastrutture, l’accesso limitato ai beni di prima necessità e la distruzione di ospedali e scuole rendono urgente una soluzione che garantisca sicurezza e assistenza immediata.


Il contesto in cui nasce la proposta americana è estremamente instabile. Gli Stati Uniti cercano di mantenere la loro influenza nella regione in un momento in cui la politica interna e la campagna elettorale presidenziale limitano la capacità d’azione del governo. Allo stesso tempo, Washington è consapevole che un ulteriore deterioramento della situazione a Gaza avrebbe conseguenze dirette sulla sicurezza regionale, sulle relazioni con l’Arabia Saudita e sugli equilibri energetici globali.


Il piano, così come descritto, appare più come una soluzione di contenimento che come un progetto politico definitivo. La possibilità di dividere Gaza in due aree amministrate separatamente solleva interrogativi sulla legittimità di un tale approccio e sulla sua sostenibilità nel medio periodo. Tuttavia, nella logica americana, la priorità immediata resta quella di prevenire un nuovo ciclo di violenza e di impedire che la crisi si estenda oltre i confini del territorio, coinvolgendo altri attori regionali.


Nel complesso, l’iniziativa statunitense riflette la difficoltà di conciliare le esigenze di sicurezza israeliane con le legittime aspirazioni del popolo palestinese e di mantenere un fragile equilibrio politico in un’area dove ogni soluzione temporanea rischia di trasformarsi in una realtà permanente.

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