
La Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezione II, 4 novembre 2024, n. 28277), con una recente sentenza del 2025, ha affrontato il tema della violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, soffermandosi in particolare sui poteri del giudice nell’accertamento di eventuali omissioni e inerzie da parte delle autorità di vigilanza.
Il quadro normativo di riferimento
L’attività di intermediazione finanziaria in Italia è regolata dal Testo Unico della Finanza (TUF), introdotto con il D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, che stabilisce le condizioni necessarie affinché un soggetto possa operare nel settore finanziario. Tra le previsioni centrali del TUF vi sono quelle relative ai poteri di vigilanza della CONSOB e le sanzioni previste in caso di violazione delle norme. In particolare, gli articoli 187-septies e 195 del TUF disciplinano il procedimento sanzionatorio per le violazioni amministrative in materia di abusi di mercato e altre irregolarità nel settore.
A livello più generale, la Legge 24 novembre 1981, n. 689, rappresenta un riferimento normativo fondamentale per il regime delle sanzioni amministrative, fissando i principi generali sull’applicazione e la contestazione di tali sanzioni, tra cui il termine di decadenza per la contestazione dell’illecito.
La decisione della Cassazione
La Sezione II della Corte di Cassazione, con sentenza del 4 novembre 2024, n. 28277, si è espressa su due profili fondamentali nell’ambito dell’intermediazione finanziaria:
L’inerzia nella raccolta dei dati di indagine: la Suprema Corte ha chiarito che, nelle procedure sanzionatorie della Consob, il giudice deve valutare se vi sia stata una ingiustificata e protratta inerzia nella raccolta dei dati necessari per l’indagine. Questo significa che eventuali ritardi nell'acquisizione di elementi di prova o nella loro analisi potrebbero incidere sulla validità dell'intero procedimento sanzionatorio. Tuttavia, la Corte ha precisato che esigenze di economia processuale potrebbero giustificare un'attesa finalizzata alla raccolta di elementi aggiuntivi per un provvedimento sanzionatorio unitario.
La valutazione ex ante della superfluità degli atti di indagine: altro aspetto centrale della decisione riguarda il criterio con cui il giudice deve valutare l’utilità o meno di determinati atti investigativi. La Corte ha stabilito che la superfluità di un atto investigativo va valutata in un’ottica ex ante e non ex post. In altri termini, se un’indagine sembra superflua al momento della sua esecuzione perché i fatti appaiono già chiari, ciò non può essere rimesso in discussione successivamente solo perché, in fase di giudizio, l’indagine si è rivelata di scarsa utilità.
Implicazioni per gli operatori del settore
La decisione della Cassazione ha implicazioni rilevanti per gli intermediari finanziari e per le autorità di vigilanza. In particolare:
Per la CONSOB, il principio stabilito dalla Corte implica che ogni ritardo nell’indagine potrebbe essere contestato e potrebbe costituire motivo di illegittimità delle sanzioni irrogate.
Per gli intermediari finanziari, la sentenza ribadisce che le violazioni delle norme in materia di intermediazione finanziaria devono essere accertate in modo rigoroso, evitando sovrapposizioni o lacune nell’attività di controllo.
Per i giudici, viene rafforzata la necessità di un approccio prudente nella valutazione delle prove raccolte, per evitare di fondare decisioni su elementi di indagine ritenuti ex post inutili.
La pronuncia della Cassazione rappresenta un ulteriore tassello nel complesso mosaico della regolamentazione dei mercati finanziari in Italia. Il ruolo della CONSOB nel garantire il corretto funzionamento dell’intermediazione finanziaria è ribadito, ma allo stesso tempo viene sottoposto a un controllo più stringente, con particolare attenzione alla tempestività e all’adeguatezza delle indagini. Gli operatori del settore devono quindi prestare massima attenzione al rispetto delle normative vigenti per evitare contestazioni che potrebbero compromettere la loro operatività.
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