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L’appello della Flai-Cgil: sbloccare i 200 milioni del PNRR destinati ai ghetti per restituire dignità ai braccianti

La Flai-Cgil, la federazione dei lavoratori agricoli della CGIL, ha lanciato un appello urgente al governo e alle amministrazioni regionali per lo sblocco dei 200 milioni di euro stanziati nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e destinati alla riqualificazione dei cosiddetti “ghetti”, gli insediamenti informali in cui vivono migliaia di braccianti agricoli, in gran parte stranieri, impiegati nel settore primario. L’intervento è stato presentato in occasione di un’assemblea tenutasi a Bari, promossa dal sindacato insieme ad associazioni locali, attivisti e rappresentanti di alcune comunità di migranti, per riportare l’attenzione nazionale su una delle più gravi emergenze sociali e umanitarie presenti nel Paese.


I fondi in questione rientrano nella Missione 5 del PNRR, dedicata all’inclusione e alla coesione sociale, e sono finalizzati a sostenere la realizzazione di abitazioni dignitose, l’accesso a servizi di base e l’inserimento socio-lavorativo dei braccianti. Tuttavia, come denunciato dalla Flai-Cgil, a oggi meno del 5% delle risorse è stato effettivamente speso, mentre numerosi progetti locali sono fermi per motivi burocratici, mancanza di coordinamento e rimpalli di responsabilità tra i diversi livelli istituzionali. In alcune regioni, come Puglia, Calabria e Sicilia, i progetti esecutivi sono pronti da mesi, ma i cantieri non sono mai stati avviati.


Secondo il sindacato, questa paralisi ha conseguenze gravissime e immediate. In Italia, si stima che oltre 12.000 lavoratori agricoli vivano stabilmente in ghetti e insediamenti informali, spesso privi di acqua potabile, elettricità e servizi igienici. I più noti sono il “Gran Ghetto” di Rignano Garganico in provincia di Foggia, la tendopoli di San Ferdinando in Calabria, e l’ex fabbrica di Saluzzo in Piemonte. In queste aree, il degrado ambientale si accompagna allo sfruttamento lavorativo, alla precarietà, alla ricattabilità e all’esclusione sociale. Una situazione che, come ha ribadito la segretaria generale della Flai-Cgil, Giovanna Ventura, “non è degna di un Paese civile e non può più essere tollerata”.


La richiesta del sindacato è duplice: da un lato si sollecita il governo a rimuovere gli ostacoli burocratici che bloccano l’attuazione dei progetti già approvati e finanziati; dall’altro si chiede una governance nazionale unica e responsabile, in grado di coordinare l’intervento pubblico e garantire l’efficacia delle azioni. L’idea è quella di istituire una cabina di regia tra Ministero del Lavoro, Ministero dell’Agricoltura, Regioni e Prefetture, con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e delle associazioni attive sui territori. L’attuale frammentazione degli interventi, secondo la Flai-Cgil, vanifica qualsiasi possibilità di successo e alimenta la sfiducia tra i lavoratori e le comunità locali.


L’iniziativa ha trovato eco anche nel mondo accademico e tra le ONG che da anni denunciano la condizione dei braccianti. L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha ricordato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte richiamato l’Italia per l’incapacità di tutelare i diritti fondamentali dei lavoratori agricoli migranti. Medici Senza Frontiere ha pubblicato nel 2023 un rapporto in cui denuncia il fallimento degli interventi emergenziali e chiede un cambio di paradigma strutturale. Secondo il dossier, nel 90% dei ghetti visitati non è presente alcun presidio sanitario fisso e l’accesso alle cure è garantito solo da volontari o ambulatori mobili.


Uno degli aspetti più critici evidenziati dall’appello della Flai riguarda il legame tra le condizioni abitative nei ghetti e il fenomeno del caporalato. I lavoratori che vivono in questi insediamenti sono facilmente controllabili da parte di reti illegali di intermediazione, che offrono alloggio, trasporto e reclutamento in cambio di percentuali sul salario. In molti casi, i braccianti pagano fino a 5 euro al giorno per raggiungere i campi di raccolta, dove vengono impiegati per 10-12 ore a fronte di una paga spesso inferiore ai minimi contrattuali. Le condizioni di vita e di lavoro sono così strettamente connesse, e la riqualificazione dei ghetti diventa anche uno strumento di contrasto alle forme più gravi di sfruttamento.


La vicenda dei fondi PNRR destinati alla logistica abitativa per i braccianti si intreccia anche con la più ampia questione del lavoro agricolo in Italia, ancora largamente fondato su una manodopera straniera e stagionale. Secondo i dati dell’INPS, il 39% degli occupati agricoli è di origine extracomunitaria, con punte superiori al 60% in alcune province del Sud. Tuttavia, questa forza lavoro è spesso invisibile, priva di contratti regolari, tutele previdenziali e accesso a servizi di base. Il mancato utilizzo delle risorse del PNRR non fa che prolungare questa condizione di marginalità, impedendo un’evoluzione strutturale del comparto.


L’assemblea di Bari ha rilanciato anche la proposta di istituire un “Patto per il lavoro agricolo di qualità”, che preveda un piano nazionale di sistemazione alloggiativa, la tracciabilità dei rapporti di lavoro, incentivi per le aziende virtuose e sanzioni più efficaci per chi sfrutta. Un modello sperimentato in alcune province con risultati promettenti, ma ancora poco diffuso. Il sindacato chiede inoltre che vengano rafforzati gli ispettorati territoriali del lavoro, con più personale e strumenti per effettuare controlli mirati anche nelle aree più periferiche e difficilmente raggiungibili.


Alcuni enti locali, come la Regione Puglia e la Regione Sicilia, hanno manifestato la disponibilità a riprogrammare le risorse in tempi rapidi, ma lamentano l’assenza di indicazioni chiare da parte del governo centrale. Il Ministero del Lavoro, da parte sua, ha dichiarato di stare lavorando a una semplificazione delle procedure e ha riconosciuto le criticità segnalate. Tuttavia, al momento non è stato reso noto un cronoprogramma preciso per lo sblocco dei fondi.


La Flai-Cgil ha annunciato che porterà la questione anche a Bruxelles, coinvolgendo i deputati italiani al Parlamento Europeo per chiedere un monitoraggio diretto da parte delle istituzioni comunitarie. L’obiettivo è evitare che i fondi PNRR destinati all’inclusione e alla coesione sociale vengano restituiti per mancato utilizzo, in un paradosso che vedrebbe risorse fondamentali inutilizzate mentre migliaia di persone vivono ancora in condizioni di degrado. Il sindacato ha anche preannunciato una mobilitazione nazionale se non ci saranno risposte concrete entro l’estate.

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