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Il dominio delle grandi banche USA è al capolinea?



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Nonostante un deficit commerciale cronico nei beni manifatturieri, gli Stati Uniti continuano a primeggiare in un settore chiave: i servizi finanziari. Nel 2024, secondo il Bureau of Economic Analysis, il surplus commerciale americano in questo comparto ha raggiunto i 130 miliardi di dollari.

Una fetta significativa di questo vantaggio deriva da attività ad alto valore aggiunto: commissioni di trading, consulenze per fusioni e acquisizioni, sottoscrizioni di titoli obbligazionari e azionari. Solo queste operazioni hanno generato un surplus di quasi 10 miliardi di dollari lo scorso anno.

Dal 2008, le classifiche mondiali di investment banking si sono fortemente sbilanciate verso gli Stati Uniti. Nel 2024, le prime cinque posizioni per ricavi sono state occupate da banche americane, con Jp Morgan, Goldman Sachs e BofA Securities sul podio, secondo i dati Dealogic.

Tuttavia, lo scenario potrebbe cambiare drasticamente in caso di un’escalation delle tensioni commerciali globali. Le banche statunitensi, che oggi dominano il settore, rischiano di trovarsi in una posizione vulnerabile. Alcuni clienti potrebbero iniziare a vedere le istituzioni finanziarie americane come strumenti di politica estera, allontanandosi da loro per motivi strategici o reputazionali.

Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan Chase, ha riconosciuto questo rischio: «Saremo nel mirino. È quello che succederà». Ha poi sottolineato la solida presenza globale della banca: «Siamo profondamente radicati in altri Paesi, la gente ci apprezza».

Le banche statunitensi, infatti, si sono costruite una fitta rete globale. Jp Morgan muove ogni giorno oltre 10 mila miliardi di dollari attraverso 160 Paesi in 120 valute. Bank of America, dal canto suo, ha visto una crescita del 14% nei prestiti a clienti internazionali solo nel primo trimestre del 2024. Alastair Borthwick, direttore finanziario della banca, ha definito questa espansione una leva essenziale per la crescita.

Nonostante ciò, una guerra commerciale prolungata potrebbe cambiare profondamente le dinamiche. Le aziende straniere potrebbero orientarsi verso istituti non statunitensi per ridurre l’esposizione politica e trovare alternative meno rischiose. Brad Setser, del Council on Foreign Relations, avverte: «Le aziende straniere non sono obbligate a usare le banche americane per le transazioni ad alto margine. In tempi di tensioni, questo vantaggio può svanire».

Citigroup, altra colonna del settore, non ha ancora registrato un calo nei volumi, secondo la ceo Jane Fraser. Ma il rischio è evidente. Fraser ha descritto la banca come «un porto nella tempesta», evidenziando la storica presenza dell’istituto in 94 giurisdizioni globali.

Nel frattempo, in Europa si ragiona su un rilancio dei mercati dei capitali. Mario Draghi ha lanciato un appello per rafforzare le infrastrutture finanziarie europee, con l’obiettivo di offrire alle imprese alternative credibili agli Stati Uniti. Se il progetto dovesse prendere piede, il dominio americano nei servizi finanziari potrebbe subire una battuta d’arresto.

Le banche statunitensi sono costruite per operare su scala mondiale. Ma in un contesto di crescente frammentazione economica, quella stessa globalità che le ha rese potenti potrebbe diventare un limite. La deglobalizzazione potrebbe trasformare il loro punto di forza in un tallone d’Achille.

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