Retromarcia della maggioranza sul ddl in materia di violenza sessuale e tensioni nell’iter parlamentare
- piscitellidaniel
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La discussione sul disegno di legge che riforma l’articolo 609-bis del codice penale entra in una fase delicata a seguito del cambio di posizione della maggioranza, una modifica di linea che sorprende le opposizioni e apre interrogativi sull’influenza esercitata dagli equilibri interni al governo. Il testo, approvato all’unanimità alla Camera con un consenso trasversale ritenuto raro per la materia trattata, introduceva la centralità del principio del consenso libero e attuale come elemento determinante nella configurazione del reato di violenza sessuale. La norma era stata presentata come un avanzamento nella tutela delle vittime e come un allineamento della disciplina interna agli standard già adottati in diverse normative europee.
La svolta è avvenuta al momento dell’approdo in Senato, dove la maggioranza ha iniziato a valutare modifiche al testo varato dalla Camera. Le opposizioni hanno percepito questa scelta come un vero passo indietro, sottolineando come l’accordo bipartisan che aveva caratterizzato la prima approvazione rischiasse di perdere valore. La richiesta di rimettere mano al testo è stata interpretata come il frutto di pressioni interne, legate ai timori di parte della coalizione di introduzioni normative ritenute troppo ampie o suscettibili di interpretazioni giudiziarie eccessivamente estensive.
Al centro del confronto rimane il concetto di consenso libero e attuale, che rappresenta il nucleo della riforma. L’impostazione approvata dalla Camera attribuisce rilievo decisivo all’assenza del consenso, consentendo di configurare la violenza sessuale anche in mancanza di coercizione fisica o minaccia esplicita. L’orientamento iniziale si basava sull’idea di superare un impianto considerato datato e non più adeguato a descrivere le molteplici forme che la sopraffazione può assumere, in particolare nei casi in cui la vittima si trovi in condizioni di vulnerabilità o soggezione psicologica. La maggioranza, però, sembra ora orientata a circoscrivere alcuni passaggi della norma per evitare che la fattispecie possa essere interpretata in modo eccessivamente ampio.
Il dibattito politico ha assunto toni sempre più accesi nelle ultime ore. Le opposizioni sostengono che la retromarcia sia stata determinata da un intervento diretto del vertice dell’esecutivo, ritenuto preoccupato per le possibili ricadute dell’impianto normativo sui rapporti tra le forze interne alla coalizione. La circostanza che l’approvazione alla Camera fosse avvenuta senza voti contrari aveva consolidato l’idea di un consenso ampio, trasformando il ddl in un simbolo della capacità delle istituzioni di trovare un terreno comune nella lotta alla violenza di genere. La modifica della linea politica, invece, ha riaperto fratture e sospetti che incidono profondamente sulla credibilità dell’azione legislativa.
Agli aspetti politici si aggiungono quelli tecnici. Alcune componenti della maggioranza hanno posto l’accento sulla necessità di definire con maggiore precisione la nozione di consenso, sostenendo che la formulazione attuale potrebbe creare difficoltà interpretative in fase processuale. La preoccupazione riguarda soprattutto la costruzione della prova, che in assenza di violenza fisica o minaccia potrebbe basarsi su elementi difficili da accertare. Le opposizioni, tuttavia, ritengono che tali argomentazioni mascherino l’intenzione di ridimensionare una riforma che mira a tutelare più efficacemente le vittime, adeguando l’ordinamento ai principi ormai affermati a livello internazionale.
La tensione istituzionale è accentuata dal fatto che il tema della violenza sessuale è al centro dell’agenda pubblica, con un aumento delle denunce e dei casi segnalati negli ultimi mesi. Le associazioni che operano nella tutela delle vittime hanno espresso forte preoccupazione per la possibile revisione del testo, temendo che un arretramento legislativo possa trasmettere un messaggio ambiguo e ridurre la portata innovativa della norma. Insistono inoltre sulla necessità di non rallentare l’iter, ricordando che ogni rinvio sposta più avanti l’entrata in vigore di misure attese da anni.
Sul piano istituzionale, la vicenda rischia anche di incidere sul rapporto tra Parlamento ed esecutivo. Il sospetto che il governo abbia influenzato l’indirizzo dei gruppi parlamentari è diventato oggetto di scontro politico, con accuse di interferenza e con la rivendicazione, da parte delle opposizioni, dell’autonomia del processo legislativo. La maggioranza respinge queste letture e sostiene che la richiesta di modifiche nasca esclusivamente dall’esigenza di una migliore definizione normativa. Resta però il fatto che l’improvviso cambio di orientamento, dopo un voto unanime e senza contestazioni pubbliche, appare difficilmente spiegabile senza considerare gli equilibri politici interni.
In questa fase, l’attenzione si concentra sulle prossime mosse del Senato, dove eventuali emendamenti potrebbero modificare sensibilmente il contenuto originario del ddl. L’esito del confronto sarà determinante non solo per il futuro della norma, ma anche per il significato politico della riforma stessa. Il valore attribuito alla tutela delle vittime e la credibilità delle istituzioni nel contrasto alla violenza sessuale dipenderanno dalla capacità di mantenere un impianto normativo coerente con l’obiettivo dichiarato fin dall’inizio: rafforzare la protezione della libertà personale e eliminare ogni ambiguità nella definizione del consenso.
L’incertezza, in questo momento, resta alta. Le dinamiche interne alla coalizione di governo, le pressioni delle opposizioni e le aspettative dell’opinione pubblica rendono il percorso del disegno di legge particolarmente complesso. L’equilibrio tra esigenze politiche, tenuta della maggioranza e coerenza giuridica della riforma rappresenta il nodo attorno al quale si giocheranno le prossime settimane di confronto parlamentare.

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