Meta Platforms nel mirino regolamentare italiano: nuovo fronte giudiziario contro AGCOM e gli obblighi sui «server in Italia»
- piscitellidaniel
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Meta Platforms ha deciso di intensificare il proprio impegno legale contro il regime regolamentare italiano, aderendo formalmente a un fronte che contesta la legittimità e l’applicabilità degli obblighi imposti dalla Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) in tema di conservazione dei dati, localizzazione dei server e equo compenso agli editori per l’uso dei contenuti giornalistici. La decisione nasce in un contesto normativo nazionale segnato dalla crescente tensione tra la libertà d’impresa delle grandi piattaforme digitali e la volontà del legislatore italiano di tutelare il pluralismo dell’informazione, la trasparenza dei flussi di dati e il valore della produzione editoriale. Meta, attiva in Italia attraverso vari servizi di social media, contestando la regolazione, mira a ottenere una revisione del quadro regolamentare nazionale, ritenendo che alcune prescrizioni violino principi comunitari e costituzionali.
Il nucleo della controversia è rappresentato dal Regolamento adottato dall’AGCOM tramite la delibera n. 3/23/CONS, che ha introdotto specifici obblighi per le piattaforme digitali che veicolano contenuti giornalistici: tra questi l’obbligo di riconoscere un equo compenso agli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni online, l’obbligo di localizzazione dei server in Italia e la disponibilità di dati da parte delle piattaforme necessari alla determinazione del compenso. Meta contesta che queste misure siano eccessivamente gravose, che comportino una violazione delle libertà di impresa e che la base giuridica nazionale ecceda i limiti fissati dalle direttive europee in materia di diritto d’autore, hosting provider e servizi della società dell’informazione. Le argomentazioni vengono sostenute attraverso ricorsi al TAR Lazio e al Consiglio di Stato, che hanno raccolto istanze volte a sospendere l’efficacia del regolamento e a sollevare questioni pregiudiziali di conformità al diritto UE.
Da parte sua l’AGCOM ritiene che il regolamento risponda al mandato della legge nazionale di attuazione della direttiva europea sul diritto d’autore, al fine di correggere il “value gap” tra editori e piattaforme e di salvaguardare il sistema dell’informazione italiana. L’Autorità sottolinea che non si tratta solamente di politica industriale o digitale, ma di equilibrio tra operatori che generano contenuti, quelli che li aggregano e quelli che li veicolano, in un contesto in cui la pubblicità online e la gratuità dei contenuti hanno modificato profondamente il modello economico dell’editoria. Il regolamento prevede, nel caso di assenza di accordo tra editore e piattaforma, che l’AGCOM possa calcolare autonomamente l’importo dovuto, sulla base di criteri quali il numero di consultazioni online, gli investimenti degli editori, gli anni di attività, e i ricavi della piattaforma derivanti dall’uso dei contenuti editoriali. Meta solleva dubbi in merito alla trasparenza di tali criteri, al principio del “Paese di origine” previsto per i servizi digitali nell’Unione europea e al fatto che la regolazione nazionale introduca obblighi di localizzazione server e conservazione dati che non sarebbero previsti dalla direttiva.
La dimensione giuridica si articola su più livelli. In primo luogo, Meta ha chiesto la sospensione cautelare dell’applicazione del regolamento davanti al TAR Lazio, ottenendo in una prima fase uno stop provvisorio degli effetti del regolamento in attesa del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE). Tuttavia, il Consiglio di Stato ha successivamente riformato tale decisione, riconfermando l’efficacia del regolamento e stabilendo che le piattaforme devono attenersi agli obblighi nei termini previsti, anche in attesa della pronuncia unionale. Parallelamente, Meta sottolinea che la richiesta di localizzazione dei server in Italia comporta una discriminazione rispetto ad operatori aventi sede in altri Stati membri e impone costi significativi, in contrasto con i principi del mercato unico digitale. L’Autorità regolatoria argomenta che l’obbligo deriva dalla necessità di garantire l’accesso ai dati rilevanti per il controllo e la trasparenza del sistema informativo nazionale.
Dal punto di vista economico e strategico, la disputa assume implicazioni rilevanti per il settore digitale e per la filiera dell’editoria in Italia. Se l’orientamento regolamentare dell’AGCOM venisse confermato, le piattaforme internazionali dovranno rivedere i modelli di business, contabilizzare flussi di compenso verso gli editori, adeguare infrastrutture e modificare le catene di conservazione dei dati. Ciò potrebbe comportare un impatto non marginale sui costi operativi delle piattaforme che operano in Italia e modificare il rapporto di forza tra editori e aggregatori digitali. Al tempo stesso, gli editori considerano il regolamento uno strumento di riequilibrio, che potenzialmente consente di valorizzare contenuti giornalistici e ridurre la dipendenza dai contenuti gratuiti sulle piattaforme. Meta teme che l’estensione degli obblighi italiani possa essere replicata in altri Paesi europei, generando un effetto domino che andrebbe a incidere su scala continentale.
Il tema del “server in Italia” rappresenta, in particolare, uno dei nodi più contestati. L’obbligo di conservare i dati in server localizzati sul territorio nazionale impone investimenti in infrastrutture, implica costi di manutenzione e di compliance e tocca direttamente la disponibilità delle piattaforme di utilizzare modelli di servizio uniformi a livello europeo. Meta sostiene che tale obbligo contrasti con il principio del “Paese di origine”, secondo cui il prestatore di servizi dell’informazione è soggetto alla regolamentazione del paese in cui ha stabilito la propria sede legale, non a quella di ogni Stato membro in cui opera. L’AGCOM replica che l’obbligo è giustificato dalla tutela di diritti fondamentali, quali il pluralismo, la libertà di informazione e l’equità del sistema editoriale nazionale, e che la giurisdizione italiana può legittimamente prevedere misure per garantire la disponibilità dei dati ai fini di controllo.
La trattativa fra le parti include anche il contesto europeo. Meta chiede alla CGUE chiarimenti in merito alla compatibilità del regolamento italiano con la direttiva sul diritto d’autore e con il regolamento sulla governance dei servizi digitali (DSA). L’Autorità italiana e gli editori invocano invece la priorità dell’autonomia regolamentare nazionale nella definizione di strumenti che tutelino il sistema informativo interno. Il risultato del contenzioso potrà dunque avere un effetto di sistema: la definizione di parametri e limiti entro cui le piattaforme possono essere obbligate a remunerare i contenuti editoriali, a localizzare dati e server, e a mettere a disposizione le informazioni necessarie per la determinazione di compensi o la supervisione delle attività.
In questa cornice, la decisione di Meta di unirsi a un fronte di ricorso indica che la posta è alta. Le piattaforme internazionali hanno tutto l’interesse a chiarire i confini regolamentari entro cui operano in Europa, e l’Italia funge da banco di prova significativo. Per gli editori italiani, l’esito della controversia potrà aprire una strada verso una maggiore valorizzazione economica dei contenuti giornalistici e verso un modello di collaborazione più strutturato con le piattaforme digitali. La partita non è solo legale, ma culturale e industriale: si torna a interrogarsi sul rapporto tra piattaforme globali, editori nazionali, regulator e sistema informativo in un’epoca in cui la digitalizzazione fa crescere tensioni, opportunità e rischi.

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