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Le nuove previsioni della Commissione Europea mostrano un miglioramento per l’eurozona ma confermano le difficoltà strutturali dell’Italia

La revisione al rialzo delle stime di crescita dell’eurozona da parte della Commissione Europea rappresenta un segnale importante in un contesto caratterizzato da mesi di incertezza economica, ma allo stesso tempo mette in evidenza la posizione delicata dell’Italia, che continua a registrare una dinamica inferiore alla media dell’area. Il nuovo scenario macroeconomico prevede per il 2025 una crescita dell’eurozona attorno all’1,3%, superiore alle precedenti previsioni che si fermavano allo 0,9%. Questo consolidamento, frutto di una combinazione di ripresa degli scambi internazionali, attenuazione dell’inflazione e condizioni finanziarie più distese, suggerisce una resilienza diffusa, ma non uniforme, all’interno dei paesi membri.


Nel quadro generale, la Commissione rileva una moderata ripresa dei flussi commerciali che ha favorito soprattutto le economie maggiormente orientate all’export, insieme a un miglioramento del clima di fiducia tra le imprese industriali. L’allentamento graduale delle pressioni inflazionistiche permette di ridurre le tensioni sui costi di produzione e offre margini di recupero ai consumi interni dell’area. Accanto a questi elementi positivi, tuttavia, permangono incertezze legate al rallentamento economico globale, ai rischi geopolitici e alle vulnerabilità delle filiere energetiche, che continuano a generare instabilità nelle prospettive di medio periodo. In questo contesto, il ruolo delle politiche fiscali e monetarie resta centrale nel determinare la velocità della ripresa e il grado di convergenza tra le economie della zona euro.


L’Italia, in particolare, continua a mostrare una dinamica di crescita più debole rispetto ai principali partner europei. Le previsioni indicano che il Paese resterà al di sotto della media dell’eurozona anche nel 2025, con un tasso compreso tra lo 0,4% e lo 0,7% a seconda degli scenari. Le cause vengono individuate in difficoltà strutturali radicate, come il ristagno della produttività, la lentezza degli investimenti privati e pubblici, la dispersione del tessuto imprenditoriale e una demografia che riduce in modo significativo il potenziale produttivo nazionale. A ciò si aggiunge una crescita dei consumi interni ancora fiacca, frenata dall’aumento del costo della vita negli ultimi anni e da un potere d’acquisto delle famiglie non ancora ristabilito ai livelli precedenti gli shock inflattivi.


L’impatto delle condizioni finanziarie e del costo del credito emerge in modo particolarmente rilevante per l’Italia. Le imprese più piccole, che costituiscono una parte dominante del sistema produttivo nazionale, risultano maggiormente esposte alle fasi di irrigidimento del credito e hanno sofferto in modo più acuto la lunga stagione di tassi elevati. Sebbene la Commissione osservi una recente distensione dei costi di finanziamento, gli effetti positivi non si stanno ancora trasmettendo in modo uniforme, mantenendo fragili gli investimenti e limitando il rinnovamento tecnologico e infrastrutturale. Diversi settori chiave come la manifattura avanzata, l’edilizia e la logistica mostrano segnali misti, con una ripresa in alcuni comparti e persistenti difficoltà in altri, soprattutto in quelli più esposti alla concorrenza internazionale.


La situazione dell’export italiano rappresenta un altro fattore cruciale. Dopo un periodo di crescita robusta negli anni precedenti, le esportazioni hanno subito rallentamenti significativi verso mercati strategici, in particolare quelli asiatici, mentre i rapporti commerciali con alcune aree tradizionali dell’Unione Europea restano condizionati dalla debolezzadella domanda interna. Alcuni settori ad alta specializzazione, come la meccanica strumentale e l’automotive, stanno cercando di recuperare competitività attraverso investimenti mirati in digitalizzazione e riconversione produttiva, ma la capacità di questi interventi di tradursi in un vantaggio strutturale richiede tempi medio-lunghi.


Le osservazioni della Commissione sul debito pubblico italiano pongono l’accento su un problema che continua a limitare gli spazi di intervento politico ed economico. Sebbene il deficit mostri un miglioramento rispetto ai picchi registrati durante la pandemia, il livello del debito resta tra i più elevati dell’area euro e condiziona la possibilità di adottare politiche fiscali espansive. Gli equilibri di bilancio, le regole europee rinnovate e l’esigenza di mantenere credibilità sui mercati finanziari impongono un percorso di prudenza che, combinato con la debolezza della crescita, rende complessa la gestione di misure strutturali di sostegno all’economia.


Un ruolo importante nelle prospettive italiane è ricoperto dal PNRR, che la Commissione considera uno strumento potenzialmente decisivo, ma la cui attuazione continua a incontrare ritardi e difficoltà operative. La capacità di accelerare i progetti, rafforzare le amministrazioni locali, migliorare l’efficienza delle procedure e garantire una ricaduta reale sulla produttività rappresenta un elemento determinante per il rilancio del Paese nei prossimi anni. Il monitoraggio delle riforme strutturali legate al piano è un altro punto critico segnalato, poiché la piena attuazione delle misure potrebbe contribuire a migliorare l’ambiente economico e la competitività complessiva del Paese.


Le previsioni aggiornate della Commissione offrono quindi un quadro a due velocità: l’eurozona mostra diverse traiettorie di miglioramento, mentre l’Italia rimane frenata da ostacoli che si stanno rivelando persistenti e difficili da rimuovere. La sfida per il sistema economico italiano consiste nella capacità di trasformare il potenziale delle risorse disponibili in crescita effettiva, invertendo una tendenza che da anni separa il Paese dal passo dell’Europa centro-settentrionale.

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