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Irritazione del governo per l’aumento dello stipendio al vertice del CNEL: la decisione giudicata «non condivisibile» e «inopportuna» dalla premier Giorgia Meloni

La decisione del CNEL, con a capo il presidente Renato Brunetta, di adeguare il proprio compenso dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha eliminato il tetto dei 240.000 euro annui per i dirigenti pubblici ha generato una forte reazione all’interno della maggioranza di governo. L’ambiente di Palazzo Chigi parla di una scelta “non condivisibile” e “inopportuna”, formulata in un momento in cui la contingenza economica impone rigorosi vincoli alla spesa pubblica. La magistratura costituzionale, con la sentenza numero 135 del 9 luglio 2025, ha fissato un nuovo quadro entro cui il CNEL ha ritenuto di potersi muovere per aggiornare l’indennità del suo presidente.


Il passo compiuto dal CNEL ha provocato l’attenzione dell’esecutivo non solo per il mero ammontare, ma per il messaggio simbolico che invia: in un periodo segnato da difficoltà economiche, rialzi dei costi energetici e condizioni salariali ancora fragili per molti lavoratori, la decisione appare incompatibile con i richiami alla sobrietà e coesione sociale che il governo ha più volte richiamato.


Dal versante politico sono arrivate sollecitazioni immediate a rivedere l’intera dinamica degli incarichi e dei compensi negli organi costituzionali: la deputata della Lega, Tiziana Nisini, ha annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare e l’introduzione in finanziaria di una norma volta a invertire il corso di questa escalation retributiva. Il CNEL, da parte sua, ha risposto indicendo che si è trattato di un semplice “adeguamento” all’ordinamento vigente e che le procedure sono state rispettate in conformità con la sentenza della Corte Costituzionale.


Sul piano operativo, la controversia riguarda l’entità dell’adeguamento: la cifra indicata per il nuovo compenso del presidente Brunetta sarebbe salita fino a circa 310.000 euro annui, cifra che rianima il dibattito sulle disparità retributive rispetto alle condizioni medie del lavoro nel Paese. Il premier Meloni, pur non entrando nel merito della singola cifra, avrebbe giudicato la tempistica e la modalità dell’iniziativa come socialmente maladatta, considerandola un elemento capace di alimentare malcontento e sfiducia verso le istituzioni.


Il tema si inserisce in un contesto più ampio di rapporto tra rappresentanza, diritti del lavoro e giustizia sociale. Il CNEL, che svolge funzioni consultive al governo e al Parlamento su materie economiche e del lavoro, è tornato sotto i riflettori nei mesi passati in occasione della discussione sul salario minimo orario. Il presidente Brunetta aveva già guidato l’ente in una linea contraria alla fissazione per legge di una soglia minima di retribuzione, preferendo il rafforzamento della contrattazione collettiva. In tale quadro, l’aumento del proprio compenso viene interpretato da molti commentatori come un elemento di discontinuità rispetto al messaggio di austerità e responsabilità che era stato enfatizzato dal governo nei confronti delle famiglie italiane.


Dal punto di vista dell’immagine, la vicenda rischia di costituire un richiamo negativo rispetto agli impegni del Paese nella riduzione del divario tra redditi elevati e retribuzioni medie. L’opinione pubblica, infatti, percorre un segmento di crescente sensibilità verso il tema della equità retributiva e della trasparenza delle istituzioni. Su questo piano, la gestione del CNEL viene messa alla prova non soltanto in termini normativi, ma anche in termini di consenso e legittimazione sociale.


Nel corridoio della politica si sottolinea che la reazione del premier Meloni non è soltanto simbolica ma pragmatica: nel breve termine si prevede che la vicenda verrà oggetto di un approfondito esame tecnico-normativo, volto a verificare la legittimità dell’aumento, la compatibilità con i vincoli di bilancio e la congruità rispetto alle retribuzioni analoghe in ambito pubblico. Parallelamente, il governo potrebbe valutare interventi correttivi tramite decreto o norma in legge di bilancio per evitare il ripetersi di situazioni analoghe in altri organi costituzionali o enti pubblici con ruoli di rilievo consultivo.


Il dibattito parlamentare si preannuncia intenso: l’opposizione ha dichiarato che l’aumento rappresenta “uno schiaffo in faccia ai lavoratori” e propedeutico a una revisione più ampia dei crediti di fiducia che il sistema istituzionale pretende di garantire. Conseguentemente, nel governo si valuta non solo la relazione tra stipendio e pensione per incarichi pubblici ma anche l’eventualità di introdurre limiti più restrittivi o criteri più selettivi per l’erogazione di compensi sui ruoli apicali di organismi pubblici non esecutivi.


La questione assume infine rilevanza anche sul piano della politica del lavoro e del welfare: in un’epoca in cui i contratti pirata, la precarietà e i salari bassi costituiscono priorità centrali, l’aumento al vertice del CNEL viene letta come contraddizione rispetto a un messaggio di equità e impegno per la coesione sociale. Il governo, consapevole dell’impatto mediatico e politico della vicenda, appare intenzionato a provvedere a un chiarimento e, se necessario, a un adeguamento complessivo della disciplina dei compensi negli enti pubblici di rilievo costituzionale.

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