Francesco Caroli, un ricercatore in Comune
- Luca Brivio
- 1 ott
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Noi di Centro Studi JLC intervistato Francesco Caroli, ex ricercatore e policy advisor per il Comune di Milano per il tema della salute pubblica. È stato un incontro interessantissimo, che ci ha permesso di conoscere una figura a metà tra laboratorio e uffiico, tra politica e ricerca.
– Ci racconti brevemente la sua carriera nei primi anni post-maturità, passando per laurea triennale, lavoro in laboratorio e magistrale.
Dopo la maturità mi sono iscritto alla triennale come tecnico di laboratorio biomedico. È stata la scelta che mi ha permesso di entrare subito in un laboratorio e imparare sul campo cosa significa lavorare con rigore e in squadra. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare in ricerca e poi in diagnostica, e nel frattempo ho iniziato la magistrale, portando avanti insieme studio e lavoro.
– Come cambia il suo lavoro di ricerca dopo aver ottenuto la laurea magistrale?
La magistrale era più orientata alla parte manageriale e organizzativa. È lì che ho capito che la mia strada sarebbe stata diversa: avevo gli strumenti per trasformare la passione per la salute in un impegno politico e istituzionale.
– Perché sceglie, all’inizio del 2022, di dedicarsi completamente alla sua attività nel Gabinetto del Sindaco di Milano e abbandonare il laboratorio?
La pandemia mi ha fatto capire quanto la salute sia fragile e quanto servano istituzioni forti. Ho scelto di lasciare il laboratorio per lavorare a Palazzo Marino perché lì potevo provare a incidere sulla salute non solo dei singoli pazienti, ma di un’intera comunità.
– Qual è stata la sua prima funzione e qual è la sua funzione attuale all’interno del Gabinetto del Sindaco?
Ho iniziato occupandomi di supporto alle politiche sociali e sanitarie del Comune. Oggi lavoro a stretto contatto con l’Assessore al Welfare e alla Salute, Lamberto Bertolé, da cui ho la possibilità di imparare molto. È un ruolo che richiede capacità di visione ma anche di costruzione di reti concrete tra attori diversi.
– Qual è stato il progetto a cui ha partecipato, all’interno di questa funzione, che le ha portato più soddisfazione (oltre a Città Sane)?
Uno dei progetti che mi ha dato più soddisfazione è stato Milano4MentalHealth, il grande progetto cittadino dedicato alla salute mentale. È nato come un’iniziativa per sensibilizzare e abbattere lo stigma, ma è cresciuto fino a diventare un laboratorio permanente di dialogo, in cui associazioni, professionisti, istituzioni e cittadini si incontrano per condividere esperienze e costruire risposte comuni. Oggi, grazie anche al lavoro con la Rete Città Sane, è diventato un progetto nazionale che coinvolge decine di Comuni.
– Come viene a scoprire il progetto Città Sane? Di che cosa si tratta nello specifico, e qual è lo scopo?
Ho conosciuto la Rete Italiana Città Sane – OMS durante il mio lavoro in Comune. Si tratta di una rete di Comuni riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che da oltre trent’anni lavora per promuovere salute e benessere attraverso politiche locali. L’idea di fondo è che la salute non nasce solo negli ospedali, ma soprattutto nei luoghi in cui viviamo: le città, con i loro spazi, i servizi, l’inclusione sociale. Il suo scopo è proprio quello di aiutare le amministrazioni a mettere la salute al centro di tutte le politiche, dal welfare alla mobilità, dall’ambiente alla cultura. È lo stesso messaggio che ho voluto trasmettere anche nel mio primo libro, Il Buon Vivere (2021), dove racconto il legame tra città e salute come chiave per costruire comunità più eque e vivibili.
– Perché ha scelto di parteciparvi? Che cosa la motiva a dare il massimo in esso?
Ho scelto di partecipare perché credo che oggi le città abbiano una responsabilità decisiva per il futuro della salute pubblica. Essere diventato coordinatore nazionale della Rete Italiana Città Sane – OMS è per me un onore, ma soprattutto una sfida: costruire una comunità di Comuni che, pur con storie e dimensioni diverse, lavorano insieme per ridurre le disuguaglianze, favorire il benessere e dare ai cittadini opportunità concrete di vivere meglio.
– Ha avuto una carriera piuttosto particolare: è passato da contribuire alla ricerca in laboratorio ad essere un policy advisor all’interno del Comune di Milano. Qual è la prospettiva unica che pensa di aver acquisito grazie al suo lavoro in questi due ambienti così diversi?
La prospettiva è quella di unire la precisione e la concretezza del mondo sanitario con la visione strategica di lungo periodo della politica pubblica. Il laboratorio mi ha insegnato il valore dei dati, del metodo e del rigore, e del fatto che un ritardo poteva costare una vita; il lavoro nelle istituzioni mi ha insegnato che occorre pazienza e lunga visione per costruire non solo risultati, ma anche percorsi condivisi. Credo che questa doppia esperienza mi aiuti a non perdere mai il contatto con la realtà, né a rinunciare all’ambizione di migliorare le cose.
– In tutto quello che ha fatto, dagli anni in laboratorio fino al lavoro che svolge oggi, qual è lo scopo di fondo, la passione più profonda che l’ha sempre guidata?
Lo scopo di fondo è sempre stato lo stesso: migliorare la qualità della vita delle persone. Prima con il camice; oggi lo faccio provando a costruire politiche che rendano le città più inclusive, più sane, più capaci di prendersi cura di tutti. È anche il filo conduttore del mio secondo libro, Scusate il disturbo (2025), scritto con Scilla Chirizzi, che racconta storie e riflessioni sulla salute mentale come responsabilità collettiva e come bene comune da proteggere insieme.
– Se potesse tornare indietro e parlare con il Francesco diciannovenne quando stava iniziando l’università, quale sarebbe il messaggio che gli vorrebbe lasciare?
Gli direi di avere più fiducia nella capacità di costruire il proprio destino e di non ascoltare troppo gli altri. Di non avere paura di cambiare strada quando sente che è il momento giusto. E soprattutto di ricordarsi che amare quello che si fa è la fortuna più grande.

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