Cambio dell’ora: che fine ha fatto la proposta di abolirlo in Europa
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Il dibattito sull’abolizione del cambio semestrale tra ora solare e ora legale nell’Unione Europea è tornato di attualità dopo un periodo di stallo, ma resta ancora in gran parte irrisolto. La proposta europea, partita con clamore nel 2018 e sostenuta dal Parlamento l’anno successivo, non ha mai trovato piena attuazione per mancanza di accordo tra gli Stati membri. Il risultato è che il sistema attuale rimane operativo e i cittadini continueranno, almeno per ora, a spostare le lancette due volte l’anno. Questo articolo analizza le origini della proposta, i motivi della sua paralisi, le posizioni contrastanti nei Paesi membri e gli scenari futuri che si delineano per il tempo dell’Europa.
Il meccanismo del cambio dell’ora è in vigore nei Paesi dell’Unione Europea da decenni e prevede che l’ultima domenica di marzo le lancette vengano spostate avanti di un’ora (ora legale) e che l’ultima domenica di ottobre si torni all’ora solare. L’obiettivo originario era quello di sfruttare maggiormente la luce diurna nei mesi più lunghi, ridurre il consumo energetico e sincronizzare gli orari fra Paesi vicini. Tuttavia nel tempo le motivazioni economiche hanno via via perso peso, mentre sono emerse critiche sulla salute, sulla produttività e sulla complessità del sistema per cittadini e imprese. La proposta di abolizione, lanciata dalla Commissione Europea nel 2018, nasce proprio da queste riflessioni: un’ampia consultazione pubblica aveva raccolto milioni di risposte, con una maggioranza significativa favorevole a lasciare stabilmente uno solo dei due orari. È dunque in quel contesto che è stata presentata la direttiva che avrebbe dovuto terminare il cambio orario entro l’anno 2021.
Nonostante gli intenti e l’approvazione del Parlamento nel marzo 2019, l’iter si è arenato al Consiglio dei ministri dell’UE. Le ragioni sono molteplici: innanzitutto la scelta tra mantenere permanente l’ora legale o permanente quella solare è molto diversa a seconda della latitudine, delle abitudini locali e degli impatti sull’energia e sulla salute. Alcuni Paesi del Nord, che vedono le giornate molto corte in inverno, preferiscono l’ora legale per più luce serale; altri, più a Sud, temono che un’ora legale permanente provochi tramonti troppo tardivi e disagi nei ritmi. In secondo luogo, le implicazioni per i trasporti, le telecomunicazioni, la logistica, i mercati del lavoro e persino le relazioni internazionali rendono la decisione complessa: un Paese che decidesse autonomamente di modificare il proprio fuso rischierebbe significativi costi di coordinamento con i vicini, con l’industria e con le normative comunitarie. Infine va ricordato che la direttiva avrebbe richiesto una vera e propria cooperazione fra tutti gli Stati membri per tornare su un sistema unificato, e questo livello di coordinamento non si è mai concretizzato.
Nel frattempo la proposta è stata di fatto accantonata: si è tornati al sistema consolidato del doppio orario, in attesa che si trovi una nuova spinta politica o un nuovo accordo. Le fonti più recenti evidenziano che la Commissione europea avrebbe inserito nel suo programma di lavoro la possibilità di ritiro del tema come priorità, data la mancanza di consenso. Ciò significa che, al di là delle dichiarazioni o degli appelli, il cambiamento non è imminente e rischia di restare congelato a lungo. Alcune voci nazionali richiamano comunque l’attenzione sul tema: ad esempio un Primo Ministro europeo ha recentemente richiesto la ripresa del dibattito sull’abolizione del cambio dell’ora, sottolineando che la doppia variazione annuale non ha più senso in un’Europa integrata e digitale. Questo rilancio politico è però solo un primo passo: resta da capire se gli Stati membri saranno pronti ad assumersi la decisione e le conseguenze operative.
Per l’Italia e per gli altri Paesi della zona dell’Europa centrale e meridionale, la situazione resta ambivalente. Da un lato cresce la sensibilità verso il tema delle implicazioni sulla salute, il sonno, la produttività e il benessere generale legate al passaggio dell’orario; dall’altro permangono preoccupazioni relative all’allineamento con i partner europei, all’efficienza delle infrastrutture, ai costi della modifica del sistema e alla necessità di evitare disallineamenti regionali. In Italia, ad esempio, l’adozione della direttiva europea del 2000/84/CE ha formalizzato il calendario del cambio orario, ma qualsiasi modifica sostanziale richiederebbe una legge nazionale in combinazione con una decisione europea condivisa. Il rischio per un singolo Paese che decidesse autonomamente di modificare l’orario è quello di creare uno sfasamento rispetto ai vicini e di generare effetti operativi negativi sul turismo, sui trasporti e sui mercati energetici.
In questo contesto i sostenitori dell’abolizione evidenziano vantaggi potenziali: un solo orario tutto l’anno eliminerebbe il passaggio marzo-ottobre, ridurrebbe i costi di adattamento dell’orologio biologico, semplificherebbe le attività economiche transfrontaliere, e renderebbe più trasparente il fuso orario. Alcuni studi europei segnalano che la variazione dell’ora può generare un aumento degli infarti, degli incidenti stradali e dei problemi di sonno nei giorni successivi al cambio. D’altro canto, chi preferisce mantenere il sistema ribatte che la luce serale è un valore sociale e turistico, che l’effetto sul risparmio energetico, pur ridotto, esiste ancora, e che eliminare il cambio dell’ora richiederebbe un ripensamento complessivo delle abitudini nazionali e delle infrastrutture di servizio.
La questione è anche simbolica del modo in cui l’Europa gestisce i processi di armonizzazione: la direttiva sull’ora legale e sulla sua possibile abolizione mostra bene le difficoltà di una governance multilivello in cui gli Stati nazionali conservano forte autonomia. Il progetto ambizioso presentato nel 2018 è rimasto fermo, nella pratica, a causa delle divergenze regionali, delle priorità politiche e delle complessità tecniche. L’episodio serve come caso esemplare di riforma annunciata, largamente condivisa a livello di principio, ma che fatica a tradursi in applicazione concreta.
La direzione futura del tema dipenderà da alcune variabili critiche: la volontà politica degli Stati membri di assumersi la decisione, la pressione dell’opinione pubblica e del mondo economico, l’evoluzione degli studi scientifici sugli impatti della variazione dell’ora, e il contesto tecnologico-economico che rende sempre più rilevante la semplificazione degli orari in un mondo interconnesso. In altre parole, l’abolizione del cambio dell’ora non è stata archiviata del tutto – resta sullo sfondo come un obiettivo possibile – ma al momento il calendario resta quello tradizionale e il sistema attuale continua a regolare milioni di orologi europei.

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