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Trump ordina nuove retate contro gli immigrati: blitz a New York e Chicago, l’ICE torna protagonista della repressione

L’amministrazione guidata da Donald Trump ha ordinato una nuova ondata di retate contro gli immigrati privi di documentazione regolare, scatenando operazioni coordinate in diverse città statunitensi, tra cui New York e Chicago. Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, l’intervento è partito da un ordine esecutivo firmato dallo stesso presidente con l’intento dichiarato di rafforzare i controlli sui migranti irregolari presenti nel territorio statunitense. Le operazioni sono state condotte congiuntamente da ICE (Immigration and Customs Enforcement), agenti federali e polizie locali. L’obiettivo – secondo fonti ufficiali – sarebbe stato quello di intercettare soggetti considerati “prioritari” per motivi di sicurezza nazionale o per precedenti penali, ma nella realtà sono stati coinvolti centinaia di immigrati privi di fedina penale e in molti casi ben integrati nelle comunità locali.


Le retate sono cominciate nelle prime ore del mattino e hanno preso di mira quartieri a forte presenza latinoamericana, maghrebina e asiatica. A New York, nel Bronx e nel Queens, decine di furgoni dell’ICE hanno bloccato interi isolati, procedendo con controlli a tappeto davanti a scuole, negozi e fermate della metropolitana. Scene simili si sono registrate a Chicago, in particolare nei quartieri di Little Village e West Ridge, dove vivono molte famiglie di origine messicana e centroamericana. In totale, secondo le prime stime diffuse dai media locali, sarebbero stati eseguiti circa 1.500 arresti in 48 ore. Tra i fermati ci sono anche donne e adolescenti che vivevano negli Stati Uniti da anni, spesso in attesa di un permesso di soggiorno definitivo.


Il provvedimento ha immediatamente sollevato polemiche e proteste. Diverse associazioni per i diritti civili hanno accusato l’amministrazione Trump di aver riattivato una strategia repressiva già sperimentata durante il suo primo mandato, ignorando sia le condizioni umanitarie dei migranti sia i limiti imposti dalle Corti federali in materia di procedure di espulsione. A New York, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti all’ufficio dell’ICE a Foley Square, esponendo cartelli con scritte come “No human is illegal” e “Abolish ICE”. Scene simili sono state documentate anche a Chicago, dove sono intervenuti anche diversi membri del Congresso locale per chiedere l’interruzione delle retate.


Secondo quanto dichiarato dallo stesso Trump in una conferenza stampa alla Casa Bianca, le retate sono “solo l’inizio” di un piano più ampio per “ripulire l’America dalla criminalità importata e dalla minaccia dell’immigrazione incontrollata”. Il presidente ha sottolineato che il suo obiettivo è quello di ristabilire “l’ordine e la legalità” sul territorio nazionale e ha ribadito il diritto sovrano degli Stati Uniti di decidere chi può rimanere e chi deve essere espulso. “Non lasceremo che il nostro Paese venga invaso – ha detto – chi è entrato illegalmente, sarà rimandato indietro. È una questione di sicurezza, non di razza o religione”.


L’iniziativa arriva a pochi mesi dalle elezioni presidenziali del novembre 2025 e viene letta da molti analisti come una mossa per galvanizzare la base elettorale trumpiana, da sempre sensibile ai temi del controllo dei confini e della sicurezza. Durante i suoi comizi elettorali, Trump ha più volte promesso una politica migratoria “senza compromessi”, definendo l’amministrazione Biden troppo debole e permissiva nei confronti dei flussi migratori. Il ritorno alle retate di massa appare dunque coerente con la narrazione adottata dal candidato repubblicano per recuperare consenso, specialmente negli Stati chiave del Midwest e del Sud.


Il provvedimento si inserisce inoltre in un contesto normativo già modificato nei mesi precedenti. Con una serie di decreti firmati tra febbraio e aprile, l’amministrazione Trump ha reso più difficile la richiesta di asilo, ha ristretto i criteri per ottenere un permesso umanitario e ha rafforzato i poteri dell’ICE, anche nei confronti di immigrati privi di precedenti penali. È stato inoltre reintrodotto il programma “Remain in Mexico”, che obbliga i richiedenti asilo a rimanere oltreconfine fino alla conclusione delle procedure.


A preoccupare le organizzazioni umanitarie è anche l’assenza di trasparenza sulle condizioni di detenzione dei migranti arrestati. In molti casi, le famiglie non sono state informate su dove siano stati trasferiti i propri cari, e diversi avvocati segnalano difficoltà nell’ottenere accesso ai centri di detenzione temporanea. Il Southern Poverty Law Center ha lanciato un appello urgente alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, chiedendo di monitorare da vicino la situazione e di intervenire per fermare le espulsioni collettive che sarebbero già in corso.


Alcuni governatori democratici, tra cui Kathy Hochul (New York) e J.B. Pritzker (Illinois), hanno promesso resistenza istituzionale alle operazioni federali, e in alcuni casi hanno ordinato alle forze dell’ordine locali di non collaborare con l’ICE. Tuttavia, l’impianto legale varato da Trump consente all’agenzia federale di operare anche senza il supporto degli enti locali. In parallelo, si moltiplicano le richieste di sospensione del provvedimento da parte di gruppi religiosi, sindacati e movimenti sociali, che denunciano una “militarizzazione” della società civile e la creazione di un clima di paura soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione.


La nuova stagione delle retate apre un fronte rovente in una campagna elettorale già polarizzata e segnata da tensioni ideologiche. La questione migratoria, ancora una volta, si conferma al centro del dibattito politico americano, con effetti diretti sulla quotidianità di milioni di persone e sul futuro di intere comunità che negli Stati Uniti vivono, lavorano e contribuiscono all’economia nazionale, pur rimanendo invisibili o precarie sotto il profilo legale.

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