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Responsabilità amministrativa degli enti e ampliamento dei reati presupposto nel sistema ambientale


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La riforma estende il perimetro del decreto 231/2001 ai nuovi delitti ambientali e irrigidisce il regime sanzionatorio per le imprese


La recente conversione del decreto-legge noto come “terra dei fuochi” ha introdotto un complesso intervento normativo di revisione del sistema repressivo in materia ambientale. La legge di conversione ha modificato, tra gli altri, l’articolo 25-undecies del decreto legislativo 231 del 2001, ampliando il catalogo dei reati presupposto che fondano la responsabilità amministrativa degli enti. L’intervento si inserisce nel più ampio riassetto del diritto penale ambientale, che coinvolge il codice penale, il codice dell’ambiente e il sistema processuale, perseguendo l’obiettivo di rafforzare la tutela del territorio attraverso la responsabilizzazione diretta delle strutture economiche.

L’articolo 25-undecies, nella nuova formulazione, include ora una serie di fattispecie ambientali ulteriori rispetto a quelle originariamente previste, in particolare i delitti introdotti nel codice dell’ambiente dagli articoli 256-bis, 256-ter e 259-ter, relativi rispettivamente alla combustione illecita di rifiuti, al traffico organizzato di materiali pericolosi e alla gestione colposa di rifiuti. La riforma recepisce il principio per cui anche le condotte connotate da colpa professionale o da carenze organizzative possono integrare una responsabilità penale-ambientale e, di riflesso, determinare la responsabilità amministrativa dell’ente.

L’estensione alle ipotesi colpose segna una discontinuità rilevante rispetto al modello tradizionale del decreto 231, storicamente ancorato a condotte dolose. Il legislatore, nel riconoscere la centralità del rischio ambientale, ha ritenuto necessario colpire anche le imprese che, pur non perseguendo volontariamente l’illecito, non abbiano adottato un’adeguata governance di controllo e di prevenzione. In tale prospettiva, la colpa di organizzazione assume un valore sostanziale: la mancata adozione di procedure di tracciabilità dei rifiuti, di audit interni o di sistemi di monitoraggio è di per sé sufficiente a integrare il presupposto di responsabilità.

L’ampliamento dei reati presupposto comporta un rafforzamento del sistema sanzionatorio. La legge di conversione prevede un aumento della sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote per le fattispecie più gravi e l’applicazione obbligatoria delle sanzioni interdittive nei casi di condotte sistemiche o reiterate. Tra queste figurano la sospensione delle autorizzazioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, la chiusura temporanea degli impianti e la pubblicazione della sentenza di condanna. Il legislatore ha voluto imprimere alla disciplina una funzione deterrente effettiva, commisurando la sanzione non solo all’evento, ma anche alla capacità organizzativa e finanziaria dell’ente.

Le modifiche si inseriscono nel contesto di una più ampia armonizzazione con la normativa europea, in particolare con la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente e con le raccomandazioni in materia di responsabilità delle persone giuridiche. Il nuovo quadro impone alle imprese di adottare modelli organizzativi incentrati su un approccio di environmental compliance integrato, fondato su valutazioni di rischio ambientale, protocolli di controllo continuo e sistemi di segnalazione tempestiva delle violazioni. L’adeguatezza del modello non può più essere valutata in termini formali, ma deve risultare da una concreta attività di gestione e aggiornamento periodico.

La riforma interviene anche sulla disciplina delle misure patrimoniali, prevedendo la confisca obbligatoria del profitto derivante dal reato e dei beni utilizzati per la commissione dell’illecito. L’estensione della misura ablativa ai beni dell’ente, e non solo a quelli dell’autore fisico, rafforza la dimensione patrimoniale della prevenzione, coerentemente con la finalità di neutralizzare i vantaggi economici derivanti dalle attività illecite. Tale approccio, ispirato alle logiche del codice antimafia, mira a rendere antieconomico qualsiasi comportamento che violi le norme ambientali.

Dal punto di vista operativo, l’adeguamento richiesto alle imprese è rilevante. Gli organismi di vigilanza devono essere dotati di competenze tecniche specifiche in materia ambientale e di autonomia funzionale per esercitare un controllo effettivo sulle attività produttive. I protocolli dovranno prevedere procedure di verifica delle autorizzazioni, sistemi di registrazione dei flussi di rifiuti, formazione periodica del personale e audit ambientali indipendenti. La mancata implementazione di tali presidi espone l’ente al rischio di sanzioni anche in assenza di dolo, secondo il principio di effettività della prevenzione organizzativa.

La legge di conversione del decreto “terra dei fuochi”, modificando l’articolo 25-undecies del decreto legislativo 231/2001, segna un’evoluzione profonda del sistema di responsabilità delle persone giuridiche. La tutela dell’ambiente viene proiettata oltre la dimensione repressiva, trasformandosi in un criterio strutturale di gestione aziendale e di conformità legale, in cui il rispetto delle regole diventa elemento costitutivo della sostenibilità economica e organizzativa dell’impresa.

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