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La prima della Scala e il ritorno all’idea di inaugurare il nuovo


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La scelta di aprire la stagione con l’opera più giovane mai proposta nel giorno di Sant’Ambrogio

La nuova apertura di stagione del Teatro alla Scala porta in scena “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Dmitri Shostakovich, segnando un particolare primato nella storia dei 7 dicembre. Tra i titoli che hanno inaugurato le stagioni del Piermarini, infatti, mai era comparsa un’opera così vicina al nostro tempo. Pur essendo stata composta nel 1934, supera di decenni i precedenti primati detenuti da “Turandot” e “Carmen”, rendendo questo debutto un’eccezione nella tradizione che ha privilegiato soprattutto il repertorio ottocentesco. La storia del teatro restituisce un lungo susseguirsi di inaugurazioni costruite su Verdi, Wagner e su capisaldi del grande sinfonismo, con rare incursioni nel Novecento, affidate a direttori che hanno voluto scalfire le consuetudini proponendo titoli meno frequentati.

Il dato anagrafico non rappresenta soltanto una curiosità. Diventa invece la chiave per leggere il significato culturale della serata, nel momento in cui le cronache sembrano più attratte dalla presenza dei vip, dalla lista degli invitati o dall’assenza di figure istituzionali. Ciò che conferisce peculiarità al 7 dicembre è la sua forza simbolica. L’apertura della Scala rimane l’unica a conservare un valore rituale capace di coinvolgere un pubblico internazionale, grazie a una reputazione costruita lentamente, attraverso scelte artistiche che ogni anno fissano un punto nella storia del teatro musicale.

Il debutto dell’opera di Shostakovich, con Sara Jakubiak nel ruolo protagonista, Riccardo Chailly alla direzione e Vasily Barkhatov alla regia, si inserisce in un contesto in cui la possibilità di tornare a un repertorio più vicino alla nostra epoca diventa una scelta culturale di peso. La diffusione in diretta attraverso i principali canali di trasmissione europei e asiatici conferma la dimensione globale dell’evento, che continua a rappresentare un riferimento per il mondo della lirica nonostante le trasformazioni del mercato culturale e delle modalità di fruizione.

La riflessione sull’età delle opere introduce un tema più ampio: la necessità di un presente nel teatro musicale. Le recenti prime assolute che hanno riscosso un successo inatteso nella stessa sala, come “Il nome della rosa” e “Anna A.”, indicano un rinnovato interesse verso la creatività contemporanea. Questi riscontri aprono la strada all’idea che il 7 dicembre possa essere anche l’occasione per inaugurare un titolo nuovo, capace di diventare parte della storia del teatro con lo stesso peso dei capolavori del passato.

Ripensare la tradizione non significherebbe stravolgerla. In fondo, la Scala nacque proprio così: nel 1778, quando il teatro teresiano progettato da Piermarini venne aperto per la prima volta, il sipario si alzò su un’opera nuova, “L’Europa riconosciuta” di Salieri. L’inaugurazione era, per definizione, il luogo del nuovo. La scelta di Shostakovich rilegge quel principio senza forzature, riportando l’attenzione sull’idea di un repertorio vivo, capace di dialogare con il tempo presente e di rinnovare il significato stesso di inaugurazione.

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