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Israele svuota tre campi profughi in Cisgiordania: 40.000 sfollati e divieto di ritorno

Il 23 febbraio 2025, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha annunciato che l'esercito israeliano (IDF) ha completato lo sgombero di tre campi profughi nel nord della Cisgiordania: Jenin, Tulkarem e Nur Shams. Questa operazione, denominata "Muro di Ferro", ha portato allo sfollamento di circa 40.000 palestinesi, ai quali è stato vietato il ritorno nelle loro abitazioni per almeno un anno.


Dettagli dell'operazione "Muro di Ferro"

Lanciata a fine gennaio 2025, l'operazione "Muro di Ferro" rappresenta la più vasta iniziativa militare israeliana in Cisgiordania degli ultimi vent'anni. L'obiettivo dichiarato è smantellare le infrastrutture terroristiche nei campi profughi, considerati focolai di attività militanti. Durante le operazioni, l'IDF ha demolito numerosi edifici, tra cui scuole e moschee, causando la distruzione di interi quartieri.


Conseguenze umanitarie e reazioni internazionali

Le Nazioni Unite hanno espresso profonda preoccupazione per l'impatto umanitario dell'operazione. Secondo l'UNRWA, l'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, oltre 40.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie case, trovandosi ora in condizioni di estrema vulnerabilità. L'UNRWA ha inoltre segnalato che le proprie attività nei campi interessati sono state sospese a causa delle operazioni militari.


Il governo palestinese ha condannato l'operazione, definendola un tentativo di Israele di espandere il proprio controllo sui territori occupati e di alterare la demografia della regione. Le autorità palestinesi hanno chiesto l'intervento della comunità internazionale per fermare quella che considerano una grave violazione dei diritti umani.


Contesto politico e militare

Questa escalation avviene in un momento di crescenti tensioni tra Israele e i gruppi militanti palestinesi. Nonostante una fragile tregua in atto nella Striscia di Gaza, le operazioni militari in Cisgiordania sono proseguite, alimentando il timore di un conflitto più ampio. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che le operazioni continueranno finché ritenuto necessario per garantire la sicurezza di Israele.


La decisione di impedire il ritorno degli sfollati per almeno un anno ha suscitato critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani, che accusano Israele di praticare una politica di punizione collettiva, in violazione del diritto internazionale. La situazione rimane tesa, con la comunità internazionale che osserva attentamente gli sviluppi nella regione.

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