Gaza, escalation senza tregua: 12 morti, tra cui 5 bambini, e proteste inedite contro Hamas nella Striscia
- piscitellidaniel
- 27 mar
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L’escalation militare nella Striscia di Gaza continua senza sosta e senza tregua, con l’ennesimo bombardamento notturno condotto dall’esercito israeliano (IDF) che ha provocato almeno 12 morti, tra cui cinque bambini. Il Ministero della Salute locale, controllato da Hamas, ha reso noto che dal 18 marzo, data della ripresa degli attacchi su larga scala da parte di Israele, il numero totale dei morti è salito a 830. Dall’inizio del conflitto, scatenato il 7 ottobre 2023, le vittime palestinesi registrate hanno raggiunto quota 50.183.
Secondo quanto riportato da al-Jazeera e confermato da fonti locali, nell’ultimo raid israeliano, un bambino di appena sei mesi è rimasto ucciso insieme alla madre. Le immagini che circolano sui social e nei notiziari internazionali mostrano la devastazione nei quartieri civili colpiti, con macerie che seppelliscono intere famiglie e medici costretti a operare in condizioni disperate, spesso senza elettricità e con scorte sanitarie ormai ridotte al minimo.
L’intensificazione delle operazioni militari israeliane, ufficialmente finalizzate a colpire obiettivi di Hamas e neutralizzare la minaccia rappresentata dalla rete di tunnel sotterranei e da depositi di armi, sta tuttavia colpendo duramente anche la popolazione civile. Le incursioni sono concentrate su zone densamente abitate, come il campo profughi di Al-Shati e i quartieri di Shejaiya e Khan Younis. Ospedali e scuole funzionano a regime ridotto, mentre migliaia di sfollati vivono ammassati in tendopoli di fortuna senza accesso all’acqua potabile.
Contemporaneamente, nella stessa Gaza, si registra un fenomeno politico-sociale inedito: manifestazioni spontanee contro Hamas da parte della popolazione civile. Per il secondo giorno consecutivo, nel quartiere di Shejaiya a Gaza City, decine di persone hanno protestato gridando slogan come “Hamas fuori” e “Stop alla guerra”. Pneumatici in fiamme, cortei improvvisati e video diffusi sui social media mostrano scene mai viste prima nella Striscia, dove le proteste contro il governo di Hamas sono sempre state rare e fortemente represse.
Anche a Khan Younis, nel sud della Striscia, centinaia di cittadini sono scesi in strada esprimendo apertamente la propria frustrazione nei confronti del movimento islamista. “Hamas è un’organizzazione terroristica”, si legge in uno dei messaggi circolati via Telegram da utenti palestinesi, “questa ondata di protesta deve estendersi a ogni quartiere e a ogni tenda della Striscia di Gaza”. L’ondata di dissenso si estende anche ai campi profughi, dove le condizioni di vita sono sempre più precarie e la popolazione è esasperata da mesi di bombardamenti, assedio e paralisi totale dei servizi essenziali.
A prendere pubblicamente posizione è stato anche Munther al-Hayek, portavoce di Fatah nella Striscia di Gaza, che ha invitato Hamas a dimettersi e a lasciare la gestione del territorio all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). “La presenza di Hamas è ormai una minaccia per la causa palestinese”, ha affermato al-Hayek, chiedendo all’organizzazione islamista di “ascoltare la voce del nostro popolo” e ritirarsi per “salvare la nostra gente”. Parole che riflettono un malcontento crescente anche all’interno del fronte politico palestinese.
Nonostante le proteste, Hamas ha finora mantenuto il controllo della Striscia, anche se, secondo alcune fonti diplomatiche, avrebbe manifestato disponibilità a rinunciare alla guida del territorio in una fase post-bellica. In tale ottica, Hamas ha accolto con favore la proposta egiziana di ricostruzione della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato di tecnici per la gestione transitoria, sotto supervisione regionale e internazionale.
Nel frattempo, da Gerusalemme, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato al parlamento che, in assenza di un rilascio degli ostaggi ancora detenuti da Hamas, Israele intensificherà la pressione militare. “Più Hamas persiste nel suo rifiuto, più forte sarà la pressione”, ha detto Netanyahu, annunciando possibili nuove confische di territorio e misure aggiuntive “che non approfondirò pubblicamente”. Una minaccia diretta, che lascia intendere un ulteriore irrigidimento della posizione israeliana, anche in assenza di progressi nei negoziati.
Hamas, dal canto suo, ha minacciato di restituire gli ostaggi “nelle bare” se Israele tenterà operazioni militari per liberarli con la forza. Un’escalation verbale che si aggiunge all’aggravarsi della situazione sul campo e che rende ancora più difficile un’intesa diplomatica a breve termine. La guerra si prolunga, la diplomazia resta in stallo, e la popolazione civile di Gaza continua a pagare il prezzo più alto di un conflitto senza fine apparente.
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