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G7, Trump lascia in anticipo ma firma il documento finale: tensioni su Teheran e nuove distanze con l’Europa

Il vertice del G7 si è concluso con un gesto emblematico che sintetizza le tensioni geopolitiche e diplomatiche del momento: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha abbandonato in anticipo il summit, svoltosi a Borgo Egnazia, in Puglia, lasciando la sede prima della conferenza stampa finale, ma firmando il comunicato congiunto elaborato dai leader delle sette potenze. Un documento che, sebbene approvato formalmente da tutti i partecipanti, rivela nel contenuto e nella gestualità politica le profonde divergenze emerse nel corso del summit, in particolare su Iran, Ucraina, commercio internazionale e cambiamenti climatici.


Il ritiro anticipato del presidente statunitense ha destato stupore tra gli osservatori internazionali, soprattutto perché avvenuto in un contesto di massima visibilità mediatica. Il gesto ha voluto rappresentare un segnale di dissenso nei confronti di alcuni dei passaggi più significativi del documento finale, in particolare quelli riguardanti la linea comune nei confronti di Teheran. Secondo fonti interne alla delegazione americana, Trump avrebbe ritenuto eccessivamente morbido l’approccio proposto dai partner europei, guidati dal presidente francese Emmanuel Macron e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, in merito alla riapertura dei canali diplomatici con la Repubblica islamica.


Il comunicato conclusivo, pur mantenendo una retorica critica nei confronti del programma nucleare iraniano e delle interferenze nella regione mediorientale, non prevede alcuna menzione di nuove sanzioni o di un inasprimento delle misure restrittive. Al contrario, viene ribadito l’impegno per una soluzione diplomatica multilaterale e la volontà di mantenere aperto un dialogo con l’Iran, anche attraverso i canali dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Un’impostazione che Trump considera fallimentare e troppo simile a quella adottata dalle precedenti amministrazioni democratiche statunitensi.


Altro tema di attrito è stato quello relativo al conflitto in Ucraina. Il documento finale del G7 conferma il sostegno a Kiev “per tutto il tempo necessario”, anche con nuove forniture di armi e con il mantenimento delle sanzioni contro la Russia. Tuttavia, Trump ha manifestato riserve sulla portata dell’impegno militare occidentale, sottolineando l’esigenza di “non trascinare gli Stati Uniti in un conflitto permanente e indefinito ai confini della Russia”. Una posizione che contrasta con quella del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, presente al vertice in qualità di ospite speciale, il quale ha invocato maggiore coerenza e rapidità nell’invio degli aiuti militari.


Le divergenze si sono estese anche al fronte commerciale. I leader europei hanno riaffermato l’importanza di una globalizzazione equa e regolata, chiedendo il rispetto delle regole del WTO e la cooperazione multilaterale per fronteggiare le distorsioni causate dalle politiche industriali aggressive della Cina. Trump, invece, ha difeso il diritto degli Stati Uniti a imporre dazi selettivi e a rafforzare la propria autonomia industriale, in linea con la sua dottrina del “Buy American”. Nessun accordo è stato raggiunto sulla questione dell’imposizione di nuove tariffe su alcuni prodotti industriali e tecnologici, né sull’idea – lanciata da Macron – di creare un meccanismo comune di difesa industriale occidentale.


Anche sul clima il compromesso è stato difficile. Il documento conferma gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 e il supporto alla transizione energetica, ma Trump ha ottenuto l’inserimento di una clausola che riconosce “le diverse esigenze dei Paesi membri in base ai propri contesti nazionali”. In sostanza, gli Stati Uniti si riservano la possibilità di rimodulare gli impegni ambientali in base alle priorità interne. Un passaggio che ha suscitato l’irritazione di Italia, Germania e Canada, più propensi a fissare obiettivi vincolanti a livello internazionale.


Il vertice di Borgo Egnazia è stato caratterizzato da una scenografia fortemente curata, con l’intento del governo italiano – e in particolare della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – di presentare un’immagine unitaria e forte del G7. Tuttavia, le tensioni interne hanno finito per prevalere sull’apparato simbolico. Il gesto di Trump – lasciare il vertice senza partecipare al briefing finale – ha offuscato il messaggio di coesione e ha rilanciato i timori sulla frammentazione dell’Occidente in vista dei prossimi appuntamenti globali, a partire dal G20 e dalla COP30.


La presidente Meloni, pur minimizzando le divergenze, ha ammesso che “non tutte le posizioni coincidono su ogni dossier”, ma ha sottolineato l’importanza del fatto che “tutti i leader abbiano sottoscritto un documento comune, che rafforza la posizione dell’Occidente su temi chiave come la sicurezza energetica, la lotta al terrorismo e il sostegno ai Paesi africani”. Una posizione di equilibrio che cerca di tenere insieme l’anima atlantista e quella più attenta alla dimensione mediterranea del vertice, a cui l’Italia ha voluto dare centralità.


L’immagine che emerge da questo G7 è quella di un equilibrio precario, in cui le grandi potenze industrializzate cercano un’intesa formale, ma divergono su quasi tutti i dossier strategici. L’uscita anticipata di Trump non è solo una questione di protocollo: è il segnale di un cambiamento profondo nei rapporti tra Washington e gli alleati europei, che potrebbe accentuarsi nel caso di una sua rielezione alle elezioni presidenziali di novembre. La firma sul documento finale, pur simbolica, appare sempre più come un atto di forma in un contesto in cui la sostanza dei rapporti transatlantici si fa via via più incerta.

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