Fondi pensione in crescita: aumentano rendimenti e adesioni, ma gli under 35 restano una minoranza
- piscitellidaniel
- 23 giu
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Il 2023 ha segnato un deciso rilancio della previdenza complementare in Italia. Dopo le difficoltà incontrate l’anno precedente, caratterizzato da forti turbolenze sui mercati finanziari e da un rallentamento delle adesioni, il sistema dei fondi pensione ha mostrato segnali di consolidamento. Crescono il numero degli iscritti, i flussi contributivi e soprattutto i rendimenti, grazie a un contesto di mercato più favorevole, in particolare per gli strumenti azionari.
Secondo gli ultimi dati raccolti, il numero complessivo degli aderenti ha superato i 9,6 milioni, pari al 36,9 per cento delle forze lavoro. L’aumento rispetto all’anno precedente è stato del 3,7 per cento. Una delle tendenze più rilevanti riguarda l’incremento della partecipazione ai fondi negoziali, che contano ora quasi 3,9 milioni di iscritti. Seguono i fondi aperti, con oltre 1,9 milioni di adesioni, e i PIP, i piani individuali pensionistici, che si attestano a 3,9 milioni di posizioni. A trainare le nuove iscrizioni sono in parte i meccanismi di adesione automatica, soprattutto nel pubblico impiego, e la maggiore consapevolezza delle difficoltà legate al futuro sistema pensionistico pubblico.
Sul fronte delle prestazioni finanziarie, il 2023 si è chiuso con rendimenti medi particolarmente significativi per tutte le principali tipologie di fondi. I comparti azionari dei fondi negoziali hanno registrato un rendimento medio annuo superiore al 10 per cento, mentre quelli dei fondi aperti hanno superato l’11 per cento. I PIP di ramo III, basati su polizze assicurative unit-linked, hanno offerto rendimenti medi del 10,9 per cento, con punte dell’11,5 nei comparti più dinamici. Anche i comparti bilanciati e obbligazionari hanno beneficiato della ripresa dei mercati, con ritorni medi annui tra il 4 e l’8 per cento. L’andamento è stato nettamente migliore rispetto al 2022, quando i rendimenti erano risultati negativi a causa delle tensioni geopolitiche e dell’impennata dei tassi d’interesse.
Nel confronto con il TFR lasciato in azienda, il divario resta significativo. La rivalutazione del trattamento di fine rapporto si è attestata all’1,9 per cento nel 2023, ben al di sotto dei rendimenti registrati dalle forme di previdenza complementare. Nel lungo periodo, il vantaggio è ancora più marcato: negli ultimi dieci anni, i comparti azionari hanno garantito rendimenti medi annui superiori al 4 per cento, contro una media del 2,4 per cento del TFR.
Nonostante i dati positivi, permangono alcuni squilibri strutturali. La partecipazione degli under 35, pur in aumento, resta inferiore alle attese. I giovani rappresentano appena il 19,3 per cento degli iscritti complessivi, un dato che riflette la difficoltà di questa fascia di popolazione ad accedere con continuità al lavoro stabile e retribuito, condizione essenziale per costruire una pensione integrativa solida. La percentuale è in crescita rispetto al 17,6 per cento del 2019, ma ancora distante da quella che sarebbe auspicabile in un sistema pensionistico sostenibile.
Anche sul fronte di genere emergono forti disparità. Le donne costituiscono poco più del 38 per cento degli aderenti complessivi. Se si guarda ai soli fondi aperti, la percentuale scende al 42,6, mentre nei PIP si attesta attorno al 46 per cento. Questi dati sono legati a molteplici fattori, tra cui la minore partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’intermittenza dei contratti, e la minore capacità contributiva legata al divario salariale.
La distribuzione territoriale degli iscritti evidenzia una netta prevalenza delle regioni settentrionali. Nel Nord Italia si concentrano circa due terzi delle adesioni, mentre il Mezzogiorno continua a registrare livelli di partecipazione molto più bassi. Questo divario si riflette anche nei contributi medi annui, che si attestano intorno ai 2.800 euro per il Nord, contro una media nazionale di circa 2.700 euro.
Un segnale positivo arriva dalla maggiore consapevolezza delle famiglie italiane, che iniziano ad aprire posizioni di previdenza complementare anche per i figli fiscalmente a carico, con l’obiettivo di costruire una base previdenziale sin dalla giovane età. Tuttavia, si tratta ancora di un fenomeno di nicchia, legato principalmente a famiglie con reddito medio-alto e cultura finanziaria consolidata.
L’utilizzo delle risorse accumulate mostra una crescente attenzione all’economia reale. Oltre il 16 per cento del patrimonio dei fondi pensione è investito in titoli di Stato italiani, obbligazioni di aziende italiane e strumenti di finanza sostenibile. Anche le casse di previdenza dei professionisti stanno incrementando gli investimenti infrastrutturali e in settori strategici, come sanità, digitale ed energia.
Dal punto di vista normativo, è in corso un confronto tra gli operatori del settore e il governo per introdurre modifiche fiscali che rendano più attraente la previdenza integrativa. Tra le ipotesi allo studio vi è il passaggio dalla tassazione sul maturato a quella sul realizzato, che permetterebbe di incentivare la permanenza nel sistema e una gestione più efficiente dei rendimenti. Inoltre, si valuta l’introduzione di meccanismi per il riscatto parziale e flessibile della posizione previdenziale, per rendere il sistema più vicino alle esigenze dei lavoratori, in particolare dei più giovani.
Secondo gli esperti, la sfida nei prossimi anni sarà quella di estendere la partecipazione, rendendo i fondi pensione accessibili anche a chi oggi ne resta escluso: giovani precari, lavoratori a bassa retribuzione, donne, autonomi e partite IVA. Occorrerà rafforzare la cultura previdenziale, semplificare l’accesso e rimuovere gli ostacoli fiscali e burocratici che ancora oggi limitano la diffusione della previdenza complementare. La crescita registrata nel 2023 è un segnale incoraggiante, ma non sufficiente per garantire un sistema pensionistico inclusivo, solido e sostenibile per le nuove generazioni.
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