Cessate il fuoco tra Israele e Iran: l’annuncio di Trump segna una tregua fragile dopo dodici giorni di scontro diretto
- piscitellidaniel
- 24 giu
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Dopo quasi due settimane di escalation militare tra Israele e Iran, l’annuncio del cessate il fuoco da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sorpreso la comunità internazionale e aperto uno spiraglio di tregua in un conflitto che rischiava di estendersi all’intero Medio Oriente. La dichiarazione di Trump, definita “completo e totale cessate il fuoco”, è arrivata a seguito di trattative riservate condotte attraverso il canale diplomatico del Qatar, che ha svolto un ruolo centrale nella mediazione tra le due potenze rivali.
Il conflitto era scoppiato improvvisamente il 13 giugno con un attacco aereo israeliano su presunti siti nucleari iraniani localizzati nelle province di Isfahan e Yazd. L’operazione, denominata “Scudo di Giacobbe”, aveva l’obiettivo dichiarato di neutralizzare la capacità dell’Iran di arricchire uranio oltre i limiti imposti dagli accordi internazionali, mai formalmente ripristinati dopo l’uscita americana dal JCPOA nel 2018. In risposta, l’Iran aveva lanciato decine di missili su obiettivi militari israeliani, colpendo in particolare le basi nel Negev e infrastrutture sensibili a Haifa e Ashdod.
Il bilancio delle vittime da entrambe le parti si è rapidamente aggravato. Fonti ospedaliere e militari parlano di almeno 350 morti tra Israele e Iran, inclusi diversi civili, e oltre un migliaio di feriti. Anche gli Stati Uniti sono stati coinvolti indirettamente, quando la base militare americana di Al-Udeid in Qatar è stata oggetto di attacchi missilistici rivendicati da milizie filo-iraniane. Questo evento ha spinto Washington ad assumere una posizione più incisiva nel contenimento del conflitto.
Il presidente Trump, nel suo secondo mandato ottenuto dopo le elezioni del 2024, ha affidato al vicepresidente J.D. Vance e al segretario di Stato Marco Rubio il compito di gestire le relazioni con le parti in causa. Contemporaneamente, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani ha facilitato il dialogo tra rappresentanti israeliani e iraniani, pur mantenendo una posizione neutrale pubblica.
La proposta di tregua si basa su un meccanismo progressivo. L’Iran avrebbe dovuto interrompere per primo ogni forma di aggressione diretta o tramite proxy, a partire dalla mezzanotte del 23 giugno. Israele, da parte sua, si impegnava a cessare le operazioni aeree e terrestri entro le successive 24 ore. L’accordo non è stato sottoscritto formalmente in sede ONU, ma ha avuto una forma di validazione politica attraverso le dichiarazioni parallele delle cancellerie coinvolte.
Nonostante l’annuncio trionfalistico da parte americana, la tregua si è dimostrata sin dalle prime ore estremamente fragile. Tel Aviv ha accusato Teheran di aver continuato a fornire missili a Hezbollah e ad altre milizie sciite attive in Siria e Iraq, mentre l’Iran ha denunciato nuovi raid israeliani contro depositi militari a Damasco e lungo la frontiera con il Libano. Entrambe le parti hanno dunque mantenuto un tono ambiguo, lasciando aperta la possibilità di un ritorno rapido alle ostilità.
La reazione internazionale si è divisa tra cautela e sollievo. L’Unione Europea ha espresso apprezzamento per la tregua ma ha invitato alla creazione di un meccanismo di verifica imparziale. Russia e Cina hanno accolto l’accordo come un primo passo positivo, ma hanno richiesto il ripristino immediato dei colloqui multilaterali sul nucleare iraniano. Le Nazioni Unite, attraverso il segretario generale, hanno ribadito la necessità di un impegno più ampio per disinnescare le tensioni nella regione e tutelare le popolazioni civili.
Sul piano interno, la leadership iraniana ha cercato di presentare l’intesa come una vittoria strategica. Il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian ha parlato di “fermezza rivoluzionaria” nel costringere Israele a interrompere le sue aggressioni, mentre in Israele l’opposizione ha attaccato il governo, accusandolo di non aver raggiunto alcun obiettivo strategico duraturo, se non quello di aggravare l’isolamento internazionale del Paese.
Il dibattito sulla natura e sulle implicazioni di questo cessate il fuoco è ancora in corso. Da un lato, la fine temporanea delle ostilità ha evitato un’ulteriore escalation che avrebbe potuto coinvolgere altri attori regionali, come Arabia Saudita, Turchia e i Paesi del Golfo. Dall’altro, l’assenza di un quadro negoziale solido e la persistente ostilità reciproca tra Israele e Iran rendono improbabile una stabilizzazione duratura.
Il futuro della tregua dipenderà anche da fattori esterni. Il ruolo degli Stati Uniti sarà decisivo, non solo come garante politico, ma anche come attore militare ancora presente con migliaia di soldati dislocati tra Iraq, Siria e Qatar. Allo stesso modo, il ritorno o meno dell’Iran a trattative nucleari più ampie sarà un banco di prova per l’efficacia diplomatica dell’amministrazione Trump.
Nel frattempo, l’area resta in stato di massima allerta. L’aviazione israeliana continua a pattugliare i cieli del Golan, mentre la marina iraniana mantiene le sue unità schierate nello Stretto di Hormuz. Sia a Teheran che a Gerusalemme si moltiplicano gli appelli al realismo strategico, ma le retoriche ufficiali non rinunciano alla linea dura. Se la tregua reggerà o meno nei prossimi giorni resta una delle incognite più delicate della diplomazia mediorientale.
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