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È inammissibile la rinuncia alla pretesa azionata dalla società dopo la cancellazione dal Registro delle imprese


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La pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19750 del 16 luglio 2025 ha definitivamente risolto il contrasto interpretativo sulla sorte delle pretese creditorie e debitorie dopo la cancellazione della società dal Registro delle imprese.L’intervento si inserisce nel complesso quadro normativo che ha preso forma a seguito della riforma del diritto societario (Dlgs n. 6/2003), la quale ha attribuito alla cancellazione effetti costitutivi di estinzione immediata dell’ente, determinando rilevanti conseguenze in ambito processuale, tributario e civilistico.

Le Sezioni Unite hanno precisato che la cancellazione comporta la perdita della capacità giuridica e processuale della società, con la conseguente inammissibilità di qualsiasi atto processuale o sostanziale posto in essere dopo tale evento, compresa la rinuncia alla pretesa azionata in giudizio.L’orientamento risolve le incertezze che in passato avevano diviso la giurisprudenza tra chi attribuiva all’atto di cancellazione effetti meramente dichiarativi e chi, invece, ne riconosceva la natura costitutiva di estinzione.

La Corte ha chiarito che la cancellazione produce l’estinzione immediata della persona giuridica e la conseguente successione dei soci nei rapporti attivi e passivi, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, ma soltanto entro i limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione.Pertanto, la rinuncia a una pretesa creditoria successiva alla cancellazione risulta giuridicamente inammissibile, perché posta in essere da un soggetto non più esistente.La rappresentanza sostanziale e processuale non può più essere esercitata dal liquidatore né dal difensore che assisteva la società, in quanto la cessazione dell’ente determina l’estinzione del mandato e la perdita di ogni legittimazione.

La decisione si fonda su un principio di ordine pubblico economico volto a garantire certezza dei rapporti giuridici e stabilità dei traffici commerciali.Infatti, la persistenza di una società formalmente cancellata costituirebbe una violazione del principio di tipicità e determinatezza dei soggetti giuridici.La Corte ha sottolineato che, diversamente, si aprirebbe una zona grigia in cui soggetti ormai inesistenti continuerebbero ad agire, disattendendo la funzione del Registro delle imprese quale strumento di pubblicità legale.

Nel caso concreto, l’azione promossa dalla società cancellata per il recupero di un credito risultava essere stata successivamente oggetto di rinuncia.Il giudice di merito aveva dichiarato estinto il giudizio, ritenendo valida la rinuncia.Le Sezioni Unite hanno invece riformato tale decisione, precisando che la cancellazione avvenuta nel corso del processo aveva già determinato la cessazione della capacità di stare in giudizio della società.Ne consegue che la rinuncia non poteva produrre effetti estintivi e che il processo avrebbe dovuto proseguire nei confronti dei soci, quali successori a titolo particolare nel diritto controverso.

La Corte ha ribadito che la successione dei soci non si configura come successione universale, bensì come fenomeno di tipo particolare, limitato ai rapporti patrimoniali ancora in vita al momento della cancellazione.Essa, pertanto, non comporta la prosecuzione automatica del processo, ma richiede una specifica istanza di riassunzione da parte o contro i soci.In mancanza, il giudizio si estingue per difetto di capacità processuale del soggetto originario.

Un ulteriore profilo affrontato riguarda la distinzione tra i crediti iscritti nel bilancio finale di liquidazione e quelli non iscritti.Le Sezioni Unite hanno confermato che solo i crediti effettivamente rappresentati nel bilancio finale possono essere oggetto di successione in capo ai soci.Diversamente, quelli omessi si considerano definitivamente estinti, salvo che si dimostri che l’omissione sia frutto di errore materiale o che il credito sia sopravvenuto in epoca successiva alla chiusura della liquidazione.Tale interpretazione mira a tutelare l’affidamento dei terzi e la funzione del bilancio finale come atto conclusivo della procedura di liquidazione.

Particolare rilievo assume, inoltre, il principio secondo cui non è configurabile alcun potere residuale in capo al liquidatore dopo la cancellazione della società.Il liquidatore, infatti, cessa dalle sue funzioni con l’avvenuta iscrizione della cancellazione e non può validamente compiere atti di gestione o disporre delle ragioni creditorie rimaste inevase.Ogni atto successivo è privo di effetti giuridici e non può essere convalidato ex post, neppure mediante ratifica da parte dei soci.

Sul piano sostanziale, le Sezioni Unite hanno posto l’accento sulla necessità di evitare l’abuso dello strumento della cancellazione, spesso utilizzato come mezzo per sottrarsi alle responsabilità patrimoniali o processuali.La cancellazione, infatti, non può essere impiegata per estinguere arbitrariamente le obbligazioni residue o per eludere le pretese creditorie.La successione dei soci nei debiti sociali entro i limiti di quanto riscosso in liquidazione rappresenta un meccanismo di equilibrio tra l’interesse dei creditori e l’esigenza di certezza giuridica.

Il principio affermato si coordina con l’articolo 2495 del Codice civile, secondo cui, dopo la cancellazione, i creditori insoddisfatti possono far valere i loro diritti nei confronti dei soci, entro i limiti di quanto questi abbiano riscosso, e nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di quest’ultimo.La Cassazione ha dunque precisato che il potere di rinuncia o di transazione su diritti e crediti non può più essere esercitato dopo la cessazione dell’ente, perché la funzione rappresentativa del liquidatore e la capacità di disporre dei beni sociali si estinguono contestualmente alla cancellazione.

La pronuncia rappresenta un punto di svolta anche in termini di responsabilità professionale degli avvocati.Il difensore che, ignorando l’intervenuta cancellazione della società, ponga in essere atti processuali o sostanziali in nome della stessa incorre in grave violazione dei doveri di diligenza e competenza professionale.Tale condotta può integrare una responsabilità contrattuale verso i soci o gli ex creditori sociali per i danni derivanti dalla perdita della possibilità di tutela giurisdizionale.

Sul piano sistematico, la sentenza si colloca in continuità con precedenti orientamenti in materia di successione processuale, ma ne chiarisce definitivamente i limiti.La giurisprudenza aveva già riconosciuto, con le sentenze nn. 6070/2013 e 9100/2015, che la cancellazione produce effetti estintivi immediati, ma permaneva il dubbio circa la possibilità di compiere atti conservativi o dispositivi in fase successiva.Le Sezioni Unite hanno escluso ogni margine di sopravvivenza funzionale dell’ente, ponendo un rigido confine temporale coincidente con la cancellazione stessa.

Infine, la Corte ha affrontato il tema della compatibilità del principio con il diritto dell’Unione europea, rilevando che l’effetto estintivo della cancellazione è coerente con la disciplina sulla pubblicità legale delle imprese e con i principi di certezza giuridica e tutela dell’affidamento sanciti dalla Corte di giustizia.L’eliminazione della società dal registro, pubblicamente conoscibile, costituisce infatti il presupposto della certezza dei traffici e della stabilità dei rapporti economici.

La decisione n. 19750/2025 rafforza, dunque, il principio di certezza e legalità nella materia societaria, ribadendo che l’estinzione dell’ente segna la cessazione definitiva di ogni capacità e che la rinuncia successiva a una pretesa non produce alcun effetto giuridico, neppure nei confronti dei soci successori.Il sistema delineato dalla Corte impone una rigorosa osservanza delle regole di liquidazione e pubblicità, richiedendo agli operatori giuridici una particolare attenzione alla tempestiva gestione delle pendenze attive e passive prima della cancellazione.

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