Trump chiede la grazia per Netanyahu: Herzog attende una richiesta formale tra equilibri politici e tensioni internazionali
- piscitellidaniel
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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto ufficialmente al presidente israeliano Isaac Herzog di concedere la grazia a Benjamin Netanyahu, attualmente coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria per presunti casi di corruzione, frode e abuso di fiducia. La richiesta, avanzata nel pieno di una fase politica particolarmente complessa per Israele e per gli equilibri internazionali in Medio Oriente, ha suscitato reazioni immediate sul piano diplomatico e istituzionale. Herzog, pur non escludendo la possibilità di prendere in considerazione l’istanza, ha sottolineato la necessità di una procedura formale conforme al diritto israeliano, che prevede l’avvio della richiesta solo da parte dell’interessato o dei suoi rappresentanti legali.
La vicenda arriva in un momento di forte polarizzazione interna in Israele. Netanyahu, al potere per oltre quindici anni complessivi e figura centrale della politica israeliana contemporanea, è imputato in tre diversi procedimenti penali, noti come i casi 1000, 2000 e 4000, che riguardano rispettivamente regali di valore ricevuti da uomini d’affari, presunti scambi di favori con gruppi editoriali e vantaggi concessi a società di telecomunicazioni in cambio di una copertura mediatica favorevole. Il premier, che ha sempre respinto ogni accusa parlando di “persecuzione giudiziaria”, è ancora in carica e guida un governo di coalizione che continua a sostenere la sua leadership, sebbene con divisioni crescenti anche all’interno del Likud.
L’intervento di Trump rappresenta un atto politico inusuale e carico di implicazioni simboliche. L’ex presidente americano ha mantenuto un legame stretto con Netanyahu sin dai tempi della sua amministrazione, durante la quale gli Stati Uniti avevano riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e promosso gli Accordi di Abramo, che avevano normalizzato i rapporti tra Israele e diversi paesi arabi. La richiesta di grazia si inserisce quindi in un contesto di continuità politica e personale, ma anche di evidente volontà di rilanciare la propria influenza nello scenario internazionale, a pochi mesi dalle nuove elezioni presidenziali americane.
Dal punto di vista giuridico, la Costituzione israeliana conferisce al presidente della Repubblica la facoltà di concedere la grazia o la commutazione della pena, ma tale prerogativa può essere esercitata solo dopo la presentazione di un’istanza formale e non su impulso di soggetti terzi, soprattutto se esterni al Paese. La dichiarazione di Trump ha pertanto un valore prevalentemente politico, ma ha riaperto il dibattito interno sulla possibilità che il presidente possa intervenire in casi che coinvolgono figure politiche di primo piano ancora in carica. Herzog, nel rispondere alle sollecitazioni mediatiche, ha ribadito che il suo ruolo impone neutralità assoluta e rispetto delle procedure, sottolineando che la grazia non può essere concessa finché il processo è in corso e non è intervenuta una condanna definitiva.
Le reazioni in Israele sono state immediate e divergenti. L’opposizione ha accusato Trump di un’ingerenza diretta negli affari interni israeliani e ha criticato Netanyahu per non aver preso le distanze da una richiesta considerata impropria. I partiti della coalizione di governo, invece, hanno interpretato le parole dell’ex presidente americano come un gesto di sostegno politico, utile a rafforzare la legittimità internazionale del premier in un momento in cui il suo consenso interno risulta eroso dalle tensioni sociali e dalle proteste contro la riforma del sistema giudiziario. Quest’ultima, voluta dallo stesso Netanyahu, prevede una riduzione dei poteri della Corte Suprema e ha spaccato il Paese, alimentando un clima di scontro tra governo, magistratura e società civile.
Sul piano internazionale, la presa di posizione di Trump ha avuto eco significativa. Washington ufficiale, sotto l’amministrazione in carica, si è astenuta da commenti diretti, mantenendo un atteggiamento di prudenza per evitare di alimentare ulteriori tensioni con Tel Aviv. Tuttavia, fonti diplomatiche statunitensi hanno lasciato intendere che la richiesta di grazia, avanzata da un ex capo di Stato, rappresenta un’anomalia istituzionale che rischia di indebolire la percezione di autonomia del sistema giudiziario israeliano. L’Unione Europea, dal canto suo, ha ribadito la necessità di preservare l’indipendenza della magistratura e il rispetto dei principi di legalità in tutti i procedimenti in corso.
Il nodo politico rimane la capacità del governo israeliano di mantenere stabilità in un momento di fragilità interna. Le accuse giudiziarie a carico di Netanyahu coincidono con un contesto geopolitico complesso: il conflitto in corso con Hamas nella Striscia di Gaza, le tensioni al confine con il Libano e il deterioramento dei rapporti con parte della comunità internazionale rendono la posizione del premier ancora più delicata. In questo scenario, l’intervento di Trump potrebbe rafforzare temporaneamente il fronte dei sostenitori del primo ministro, ma rischia anche di accentuare le divisioni tra istituzioni e opinione pubblica.
Il presidente Herzog, consapevole del valore politico e simbolico della sua decisione, si trova dunque a gestire una questione che intreccia diritto, diplomazia e stabilità nazionale. L’attesa per una eventuale richiesta formale di grazia da parte dei legali di Netanyahu tiene aperta una fase di incertezza, in cui la giustizia israeliana continua a rappresentare il terreno su cui si misura la tenuta dello Stato di diritto in un Paese attraversato da uno dei momenti più complessi della sua storia recente.

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