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Tassi in discesa, ma credito ancora bloccato

L’Eurozona si avvia progressivamente verso una normalizzazione dei tassi d’interesse. Dopo il ciclo restrittivo più marcato dell’ultimo ventennio, i segnali di rallentamento economico e il raffreddamento dell’inflazione hanno indotto le autorità monetarie ad avviare una graduale riduzione del costo del denaro. Tuttavia, il sistema del credito alle imprese e alle famiglie italiane rimane ingessato, mostrando tutti i limiti di un sistema bancario ancora rigido, prudente e selettivo.

Le banche, nonostante la discesa dei tassi ufficiali, non hanno ancora trasferito in maniera proporzionale il beneficio al cliente finale. Gli spread applicati restano elevati, in parte per motivi prudenziali, in parte per tutelare la redditività messa sotto pressione dall’aumento dei costi operativi e dagli adeguamenti normativi. L’accesso al credito, di conseguenza, rimane difficoltoso, soprattutto per microimprese, lavoratori autonomi e famiglie con rating medio-basso.

Il risultato è un paradosso evidente: il costo del denaro si abbassa, ma il credito non si riattiva. Le imprese, pur avendo progetti pronti, si trovano di fronte a condizioni di finanziamento ancora scoraggianti. I mutui, seppur in leggero calo, non tornano ai livelli di accessibilità del periodo pre-pandemico. Il credito al consumo si contrae, rallentando la domanda interna e gli investimenti privati.

Questo fenomeno ha effetti sistemici. Le aziende più solide si finanziano internamente o tramite strumenti alternativi – minibond, leasing evoluti, venture capital – mentre quelle meno strutturate si trovano escluse dal ciclo di sviluppo. La disintermediazione bancaria cresce, ma non a ritmo sufficiente da colmare il vuoto lasciato dal credito tradizionale.

Una delle cause principali è il deterioramento del merito creditizio medio. Il biennio 2022-2023 ha aumentato l’indebitamento, peggiorato gli indicatori patrimoniali e ridotto la capacità di rimborso di molte famiglie e imprese. Le banche, sotto pressione regolatoria, applicano filtri sempre più stringenti, a discapito dell’equità di accesso e della fluidità economica.

Anche il ruolo delle garanzie pubbliche, centrale nel triennio pandemico, si è progressivamente ridotto. I fondi di garanzia nazionali ed europei non riescono a coprire tutte le richieste, e le procedure restano lente e complesse. La burocrazia, anziché diminuire, frena la ripresa del credito in una fase in cui la velocità è cruciale.

Nel frattempo, le famiglie rinunciano a progetti immobiliari o di consumo strutturato, mentre le imprese rimandano investimenti strategici, digitalizzazioni e transizioni energetiche. Il sistema rallenta non per mancanza di idee, ma per assenza di ossigeno finanziario.

Il 2025 si rivela così un anno interlocutorio, in cui la politica monetaria e quella bancaria faticano a coordinarsi. Servirebbero interventi mirati: incentivi alla concessione del credito produttivo, garanzie su misura, strumenti di accompagnamento per soggetti borderline, revisione della valutazione del rischio su base dinamica.

Il credito non è solo una questione di tassi: è un termometro della fiducia e della visione di sistema. Senza un ritorno effettivo alla circolazione della liquidità verso l’economia reale, la discesa dei tassi rischia di essere una manovra sterile, incapace di riattivare la crescita.

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