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Salario minimo, Rizzetto (FdI): “Basta propaganda, avanti con la delega”. Maggioranza al lavoro per il voto in Senato entro luglio

Il dibattito sul salario minimo torna al centro della scena politica, con una nuova accelerazione da parte della maggioranza. Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro della Camera ed esponente di Fratelli d’Italia, ha dichiarato che il disegno di legge delega sul lavoro, già approvato alla Camera, dovrà essere votato definitivamente dal Senato entro la fine del mese di luglio. La dichiarazione arriva in un momento cruciale per l’agenda parlamentare, segnato da un acceso confronto tra le forze politiche sulla necessità di introdurre un salario minimo legale e sulla strada da seguire per contrastare il lavoro povero.


Secondo Rizzetto, la proposta sostenuta dalla maggioranza rappresenta una soluzione strutturata e coerente con l’articolo 36 della Costituzione, che garantisce al lavoratore una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” e “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Il testo prevede una delega al Governo per rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva, definendo strumenti idonei a garantire che i trattamenti economici minimi applicati nei vari settori siano realmente esigibili da tutti i lavoratori.


Contrattazione collettiva al centro della riforma

Il fulcro dell’intervento normativo proposto dalla maggioranza è il riconoscimento del contratto collettivo come strumento principe per la definizione delle condizioni retributive e normative. Il disegno di legge si muove in linea con l’orientamento già espresso in passato da vari governi italiani, secondo cui una soglia salariale unica e imposta per legge potrebbe non rispondere adeguatamente alla varietà dei contesti settoriali e territoriali del mercato del lavoro nazionale.


La delega si propone di rafforzare la contrattazione collettiva firmata dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, scoraggiando la diffusione dei cosiddetti contratti pirata, ovvero quegli accordi siglati da soggetti privi di adeguata legittimazione rappresentativa che fissano trattamenti economici inferiori agli standard consolidati. Il testo prevede inoltre la creazione di un sistema pubblico di certificazione e raccolta dei contratti nazionali, utile a individuare i contratti “leader” da applicare come riferimento per tutti i lavoratori, anche in assenza di un contratto collettivo direttamente applicabile.


Rizzetto ha più volte sottolineato che la proposta della maggioranza non equivale a un rifiuto dell’idea di rafforzare le tutele contro il lavoro povero, ma rappresenta un percorso alternativo, più coerente con l’impianto istituzionale italiano e più efficace nel garantire una crescita equilibrata dei salari. “Siamo contro l’approccio ideologico – ha dichiarato –. Il salario minimo legale può trasformarsi in una soglia rigida e inadatta a tutelare i lavoratori nei diversi contesti produttivi. Il nostro obiettivo è rafforzare le tutele già esistenti e renderle universali”.


Le critiche dell’opposizione e il nodo della rappresentanza

Il percorso intrapreso dalla maggioranza ha suscitato reazioni critiche da parte delle opposizioni, che da mesi insistono sulla necessità di introdurre una soglia minima oraria fissata per legge, non inferiore a 9 euro lordi. Secondo Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra e Più Europa, il meccanismo proposto dal Governo non è sufficiente ad affrontare l’emergenza dei salari bassi e delle disuguaglianze retributive crescenti.


Elly Schlein ha definito la delega “un’occasione mancata”, sostenendo che “mancano tempi certi, risorse e soprattutto il coraggio di dire che nessun lavoratore deve guadagnare meno di una soglia dignitosa”. Giuseppe Conte ha parlato di “fumo negli occhi”, accusando il Governo di difendere interessi datoriali anziché i diritti dei lavoratori. Le opposizioni chiedono che il disegno di legge venga emendato in Senato per prevedere esplicitamente una soglia legale, definita attraverso un parametro oggettivo e aggiornabile periodicamente.


Il tema della rappresentatività delle parti sociali, inoltre, resta centrale nel dibattito. Il timore dell’opposizione e di alcuni osservatori è che, in assenza di un sistema certo e certificato per identificare i contratti maggiormente rappresentativi, il meccanismo proposto dalla maggioranza possa lasciare spazi di ambiguità o discrezionalità, riducendo l’efficacia delle tutele per chi oggi lavora con salari al di sotto della soglia di povertà. Secondo i dati ISTAT, oltre 3 milioni di lavoratori italiani percepiscono retribuzioni inferiori a 9 euro lordi all’ora, in particolare nei settori della logistica, ristorazione, agricoltura e commercio.


Il quadro europeo e la direttiva Ue sul salario minimo adeguato

Un ulteriore elemento che alimenta la discussione è la necessità di recepire la direttiva europea 2022/2041, che impone agli Stati membri di garantire un salario minimo adeguato, attraverso l’introduzione di un salario minimo legale oppure il rafforzamento dei meccanismi di contrattazione collettiva. Il Governo italiano ha comunicato alla Commissione di voler perseguire la seconda via, sostenendo che il sistema di relazioni industriali basato sulla contrattazione nazionale già garantisce livelli adeguati, almeno sulla carta.


Tuttavia, la Commissione europea ha richiamato più volte l’Italia sull’esigenza di assicurare un'effettiva copertura retributiva universale, osservando come una parte significativa del mercato del lavoro italiano sia di fatto esclusa dai contratti collettivi applicati dai principali attori sindacali. Il rischio, secondo Bruxelles, è che un modello puramente contrattuale non sia sufficiente a garantire l’adeguatezza e l’universalità richieste dalla normativa europea. Questo elemento sarà probabilmente oggetto di valutazione anche in sede di approvazione finale della legge delega, poiché l’Italia dovrà dimostrare di essere in linea con i parametri comunitari per evitare eventuali procedure d’infrazione.


Verso il voto in Senato: tempi stretti e tensioni crescenti

Il calendario parlamentare prevede la discussione del testo al Senato nelle prossime settimane, con l’obiettivo di approvarlo entro fine luglio. La maggioranza è determinata a non rallentare l’iter, anche se non si escludono modifiche formali che recepiscano alcune osservazioni tecniche sollevate durante l’esame in Commissione. Il clima politico si preannuncia teso, con l’opposizione pronta a dare battaglia anche attraverso strumenti ostruzionistici. Non si esclude inoltre che i sindacati confederali intervengano nel dibattito con ulteriori iniziative pubbliche e mobilitazioni, soprattutto se il testo dovesse essere approvato senza significative aperture alla richiesta di un salario minimo legale.


Il confronto sul salario minimo continua così a rappresentare uno degli snodi centrali del confronto tra Governo e opposizione, ma anche uno dei temi più sensibili nel rapporto tra politica e società. La sfida è quella di conciliare principi costituzionali, impegni europei e realtà del mercato del lavoro, in un contesto in cui milioni di lavoratori italiani attendono risposte concrete sulla dignità e adeguatezza della propria retribuzione.

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