Manovra, vincitori e vinti tra banche, dipendenti e imprese nel nuovo equilibrio dei conti pubblici
- piscitellidaniel
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La manovra ridisegna in modo netto la mappa dei vincitori e dei vinti, intervenendo su banche, lavoro dipendente e sistema delle imprese con scelte che riflettono un equilibrio complesso tra esigenze di bilancio, consenso sociale e sostenibilità economica. Il quadro che emerge è quello di una legge finanziaria orientata più alla redistribuzione selettiva che a una spinta espansiva generalizzata, nella quale alcune categorie vedono consolidarsi posizioni favorevoli mentre altre si trovano a fare i conti con benefici ridotti o con un aggravio indiretto delle condizioni operative. La lettura incrociata delle misure mostra una manovra che punta a intercettare risorse dove la redditività è più elevata e a contenere la spesa strutturale, in un contesto segnato da vincoli stringenti sui conti pubblici.
Tra i soggetti che escono rafforzati figurano le banche, che continuano a beneficiare di un contesto favorevole sul piano dei margini, sostenuti da livelli dei tassi ancora elevati e da una redditività complessiva che resta superiore alle attese di pochi anni fa. Pur in presenza di interventi mirati e di una maggiore attenzione politica al contributo del settore creditizio, la manovra non intacca in modo strutturale la capacità delle banche di generare utili e di sostenere politiche di remunerazione degli azionisti. Il sistema bancario viene quindi considerato una fonte di stabilità, ma anche un interlocutore chiamato a contribuire in modo più esplicito al riequilibrio complessivo, senza però mettere in discussione la solidità patrimoniale raggiunta dopo anni di ristrutturazioni e rafforzamenti di capitale.
Il lavoro dipendente rappresenta uno dei terreni più delicati della manovra. Le misure a favore dei redditi medio-bassi vengono confermate o rafforzate, ma senza un salto di qualità capace di incidere in modo strutturale sul cuneo fiscale. I benefici risultano spesso concentrati su specifiche fasce di reddito, con effetti redistributivi che attenuano l’impatto dell’inflazione ma non modificano in profondità il potere d’acquisto complessivo. La manovra cerca di bilanciare il sostegno ai salari con l’esigenza di non appesantire in modo permanente la spesa pubblica, producendo un risultato che tutela alcune categorie ma lascia irrisolte le criticità di fondo del mercato del lavoro, a partire dalla dinamica dei salari reali e dalla precarietà.
Per le imprese, il quadro è più frammentato. Alcuni comparti riescono a intercettare misure favorevoli, mentre altri registrano un ridimensionamento degli incentivi che avevano sostenuto investimenti e crescita negli anni precedenti. La revisione dei crediti d’imposta e degli strumenti di sostegno selettivo riflette la volontà di superare una fase di incentivi diffusi, spesso costosi e difficili da controllare, per passare a un approccio più mirato. Questo cambio di passo viene letto da una parte del mondo produttivo come una necessità, ma da un’altra come un freno alla capacità di pianificazione degli investimenti, soprattutto in un contesto di incertezza macroeconomica e di rallentamento della domanda.
La manovra incide anche sui rapporti tra Stato e sistema economico nel suo complesso, rafforzando l’idea che le risorse pubbliche debbano essere allocate in modo più selettivo. I settori con maggiore capacità contributiva vengono chiamati a sostenere una quota più rilevante dello sforzo di bilancio, mentre le politiche di sostegno si concentrano su obiettivi considerati prioritari. Questo approccio produce inevitabilmente vincitori e vinti, alimentando un dibattito politico ed economico che mette in luce le tensioni tra esigenze di equità e necessità di crescita. La manovra diventa così uno strumento di riequilibrio, più che di espansione, nel quale le scelte compiute riflettono la difficoltà di conciliare sostenibilità dei conti, tutela del reddito e competitività del sistema produttivo in una fase economica complessa e ancora segnata da forti incertezze.

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