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Lo stipendio in stablecoin diventa possibile anche in Italia tra opportunità operative, limiti normativi e convenienza selettiva

La possibilità di ricevere lo stipendio in stablecoin entra anche nel perimetro del sistema italiano, aprendo uno scenario che fino a poco tempo fa appariva confinato a sperimentazioni marginali o a contesti extraeuropei. Il tema si colloca all’incrocio tra innovazione finanziaria, diritto del lavoro e fiscalità, e solleva interrogativi rilevanti su chi possa effettivamente ricorrere a questa modalità di pagamento, in quali condizioni e con quali vantaggi o svantaggi rispetto alla retribuzione tradizionale in euro.


Le stablecoin sono criptovalute progettate per mantenere un valore stabile, generalmente ancorato a una valuta fiat come il dollaro o l’euro. A differenza delle criptovalute più volatili, queste attività digitali mirano a ridurre le oscillazioni di prezzo, rendendole teoricamente più adatte a essere utilizzate come mezzo di pagamento. È proprio questa caratteristica che le rende compatibili, almeno in astratto, con l’idea di una retribuzione periodica.


Nel contesto italiano, il pagamento dello stipendio in stablecoin non può avvenire in sostituzione integrale della retribuzione in moneta avente corso legale. La normativa sul lavoro e sulla tutela del salario impone infatti che una parte della retribuzione sia corrisposta in euro, a garanzia della certezza del valore e della protezione del lavoratore. Le stablecoin possono quindi trovare spazio come componente accessoria o complementare della retribuzione, soprattutto all’interno di accordi individuali o di piani di welfare aziendale.


La platea potenzialmente interessata a questa modalità di pagamento è relativamente ristretta. Si tratta in prevalenza di lavoratori ad alta specializzazione, professionisti, consulenti, dipendenti di aziende tecnologiche o multinazionali, spesso con una dimensione internazionale del rapporto di lavoro. In questi contesti, la retribuzione in stablecoin può essere utilizzata per facilitare i trasferimenti transfrontalieri, ridurre i costi di cambio e velocizzare l’accredito delle somme.


Per le aziende, il ricorso alle stablecoin può rappresentare uno strumento di flessibilità. I pagamenti digitali consentono operazioni rapide, tracciabili e potenzialmente meno onerose rispetto ai canali bancari tradizionali, soprattutto in presenza di lavoratori distribuiti in più Paesi. Inoltre, offrire una parte della retribuzione in stablecoin può essere percepito come un elemento di attrattività nei confronti di profili professionali orientati all’innovazione e alla finanza digitale.


Dal punto di vista del lavoratore, i vantaggi sono legati principalmente alla rapidità dei pagamenti e alla possibilità di gestire direttamente le somme attraverso wallet digitali. In alcuni casi, le stablecoin possono facilitare l’accesso a servizi finanziari decentralizzati o consentire una gestione più flessibile della liquidità, soprattutto per chi opera in contesti internazionali o riceve redditi da più fonti.


Accanto ai vantaggi, emergono però criticità rilevanti. Anche se progettate per essere stabili, le stablecoin non sono prive di rischi. Il loro valore dipende dalla solidità dell’emittente e dalla reale copertura delle riserve. Eventuali problemi di governance, liquidità o regolamentazione possono incidere sulla fiducia e sulla convertibilità in valuta tradizionale. Per un lavoratore, questo significa esporsi a un rischio che non esiste nel caso di una retribuzione interamente in euro.


La questione fiscale rappresenta un altro nodo centrale. In Italia, il reddito da lavoro dipendente è tassato in euro, indipendentemente dalla forma con cui viene erogato. Ricevere una parte dello stipendio in stablecoin non modifica l’obbligo di assoggettare la retribuzione a Irpef e contributi, calcolati sul valore in euro al momento della corresponsione. Questo comporta la necessità di una corretta valutazione e di una gestione amministrativa accurata, sia per il datore di lavoro sia per il dipendente.


Anche sul piano contributivo, la retribuzione in stablecoin non introduce deroghe. I contributi previdenziali e assistenziali devono essere versati secondo le regole ordinarie, con riferimento al valore monetario della prestazione lavorativa. Questo limita l’utilizzo delle stablecoin a contesti nei quali l’azienda dispone di una struttura amministrativa in grado di gestire la complessità aggiuntiva.


Un ulteriore elemento di cautela riguarda la tutela del lavoratore. Il sistema italiano attribuisce grande rilievo alla certezza e alla disponibilità del salario, considerato un diritto fondamentale. L’uso di strumenti digitali non tradizionali richiede quindi il consenso esplicito del dipendente e non può tradursi in un’imposizione unilaterale. La componente in stablecoin deve essere frutto di una scelta consapevole, non di una compressione delle garanzie.


La convenienza dello stipendio in stablecoin appare quindi selettiva. Può risultare interessante per lavoratori con una buona alfabetizzazione finanziaria, abituati a operare con strumenti digitali e in grado di valutare i rischi connessi. Per la generalità dei dipendenti, soprattutto per chi ha un profilo di reddito più tradizionale e una minore propensione al rischio, la retribuzione in euro resta la soluzione più semplice e sicura.


Il tema si inserisce in un quadro più ampio di evoluzione dei sistemi di pagamento e di digitalizzazione della finanza. Le stablecoin vengono sempre più considerate come un ponte tra il mondo delle criptovalute e quello della moneta tradizionale, ma la loro integrazione nei rapporti di lavoro richiede un equilibrio delicato tra innovazione e tutela. Il legislatore europeo, con le nuove regole sui mercati delle cripto-attività, punta a rafforzare la trasparenza e la stabilità del settore, creando un contesto più definito anche per utilizzi come quello retributivo.


In prospettiva, lo stipendio in stablecoin può essere letto come un segnale di sperimentazione, più che come una trasformazione immediata del mercato del lavoro. La sua diffusione dipenderà dalla capacità del sistema di garantire sicurezza, chiarezza normativa e semplicità operativa. Senza questi presupposti, il rischio è che rimanga una soluzione di nicchia, adottata da pochi soggetti particolarmente orientati all’innovazione.


Il dibattito attorno a questa possibilità riflette una tensione più generale tra flessibilità e protezione. Da un lato, le imprese e una parte dei lavoratori chiedono strumenti più agili e coerenti con un’economia digitale e globale. Dall’altro, il diritto del lavoro continua a privilegiare la stabilità e la certezza come elementi essenziali del rapporto occupazionale.


Lo stipendio in stablecoin, nella sua versione italiana, si colloca esattamente su questa linea di confine. È consentito, ma entro limiti precisi. È potenzialmente conveniente, ma non privo di rischi. È innovativo, ma non sostitutivo del sistema tradizionale. La sua reale diffusione dipenderà dalla capacità di conciliare queste dimensioni, in un contesto nel quale la tutela del lavoro resta un principio non negoziabile.

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